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Questo saggio nasce dal lavoro di ricerca compiuto a
partire dal 1996 all’interno del Seminario di
Tradizione Classica e Iconologia dell’Università di
Ca’ Foscari di Venezia: in esso si presentano i
risultati di un accurato spoglio dei dati e delle
diverse interpretazioni avanzate fino a oggi.
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La lettura della medaglia di Isabella d’Este è a tutt’oggi
un enigma di difficile soluzione. Eppure questo manufatto, per
la personalità della committente, la finezza della fattura,
l’esplicita funzione emblematico-rappresentativa, possiede
tutti i requisiti per essere un’opera simbolo del
Rinascimento.
Sul recto della medaglia compare un busto di profilo: la giovane
donna con una collana di perle al collo e i capelli raccolti a
coda di cavallo dietro la nuca e ricadenti in ciocche ai lati
del viso. Ai limiti del campo corre la scritta ISABELLA ESTEN
MARCH MAN (in alcuni esemplari MA, o MANT).
Sul verso una figura femminile stante, alata, volta a sinistra,
tiene nella mano destra un bastone e un palmizio nella sinistra:
davanti a lei si erge un serpente. Sopra la sua testa si libra
un Sagittario, volto a destra, con l’arco teso e la freccia
incoccata; sopra il suo dorso brilla una grande stella a otto
punte. Intorno alle figure corre il motto BENEM ERENTIUM ERGO
(in alcuni esemplari BENEMOERENTIUM).
Riguardo all’opera l’indagine critica ha acquisito alcune
certezze ricavate da dati documentari e di archivio:
- venne fusa nel 1498, quando Isabella era Marchesa di Mantova
già dal 1490 (anno delle nozze con Francesco II Gonzaga);
- l’artista a cui fu affidata l’esecuzione dell’opera è
Giancristoforo Romano, scelto dalla Marchesa dopo ponderata
selezione;
- il motto è opera di Niccolò da Correggio, e anch’esso fu
scelto personalmente da Isabella che intervenne con particolare
severità sulle proposte avanzate dall’erudito;
- la prima fusione (1498) reca un errore nell’iscrizione del
motto sul verso
- una seconda versione venne messa in opera nel 1505 per fare
fronte alla richiesta di altri esemplari da parte della
committente.
In questa versione vennero leggermente ritoccati: sul recto
l’iscrizione con la
titolatura e il profilo del ritratto (forse per renderlo più
verosimile, come risulta dal confronto con il ritratto di
Leonardo, sul cartone del Louvre); sul verso fu corretto
l’errore dell’iscrizione e vennero eseguiti altri minimi
ritocchi sulle figure .
L’esistenza di una seconda versione, per di più così
accuratamente ritoccata sin nei minimi particolari (e
addirittura rifinita con piccole correzioni sui dettagli
eseguite probabilmente sui pezzi già fusi), testimonia del
valore che la committente attribuiva alla medaglia e della sua
intenzionale funzione celebrativa e rappresentativa. Tra le
molte imprese della Marchesa, la medaglia è l’immagine a cui
Isabella si affida per rappresentarsi miticamente e
simbolicamente. Per molto tempo quest’opera, con il ritratto e
l’impresa, fu il dono preferito per omaggiare nobili, parenti
e amici: venne distribuita alle corti di Napoli e di Urbino e ai
molti letterati amici della marchesa (il Tebaldeo, Giacomo
Filippo Faella, Bernardo Accoliti).
Della versione 1505 venne realizzato un esemplare prezioso, fuso
in oro e montato in una ricca incastonatura con pietre preziose:
l’esemplare (ora al Kunsthistorisches Museum di Vienna,) viene
descritto nell’Inventario Stivini del 1542 come proprietà
personale di Isabella, custodito “nell’armario di meggio
della Grotta in Corte vecchia”
Fin dalla fine del secolo scorso numerosi studiosi si sono
impegnati nella lettura della medaglia, concentrandosi in
particolare nella decrittazione del verso: le due principali
figure, quella femminile alata e il centauro sovrastante,
presentavano grossi problemi di identificazione sia considerate
singolarmente sia, soprattutto, nel loro insieme.
La figura femminile stante è stata variamente interpretata come
“Vittoria”, “Astrologia”, “Salus”, “Virgo” e
“Minerva”. L’unica di queste identificazioni che ha un
qualche fondamento nell’iconografia e nella testimonianza dei
documenti del tempo, è quella di “Vittoria”: questa
definizione si trova infatti già nell’Inventario Stivini
compilato a soli tre anni dalla morte di Isabella. Nel centauro
con la stella la critica ha sempre concordemente riconosciuto un
segno zodiacale, semantizzato come tale proprio dalla stella.
Controverso, se non irresolubile, è stato il tentativo di
trovare un collegamento tra il segno del Sagittario e le vicende
biografiche di Isabella. Nessun importante evento della vita
della Marchesa (nascita, matrimonio, parti, imprese militari del
marito Francesco) si verificò nel periodo assegnato al
Sagittario. Nel tentativo di trovare una spiegazione per la
presenza di questo simbolo astrale alcuni studiosi si sono
aggrappati alle ipotesi più disparate (e più infondate per la
scienza astrologica), proponendo persino la data
dell’ipotetico concepimento di Isabella che sarebbe avvenuto
sotto il segno del Sagittario.
Ulteriori difficoltà si sono poi presentate nel tentativo di
trovare un nesso con la figura della Vittoria alata e un
collegamento delle immagini con il motto. Nel ginepraio delle più
astruse interpretazioni, recentemente si è arrivati ad
affermare che non si tratterebbe altro che di un insieme
insensato di simboli, non collegabili fra loro né con il motto
circostante, una combinazione di cui la committente non sarebbe
neppure stata troppo soddisfatta. Insostenibile minimalismo,
smentito inoppugnabilmente dall’impegno che Isabella dedicò
all’esecuzione della sua medaglia di rappresentanza e alla
diffusione delle sue varie emissioni, e dalla stessa cura con la
quale, fino alla morte (1539), la custodì nella Grotta fra i
suoi mirabilia.
Tutti i dati documentari e archivistici relativi alla medaglia
di Isabella e ogni altro elemento che potesse essere utile per
la soluzione dell’enigma del verso, sono stati oggetto di un
lavoro di spoglio e di ricerca all’interno del Seminario di
Tradizione classica e Iconologia dell’Università Ca’
Foscari di Venezia, dal 1996 al 1999: questo studio presenta i
risultati positivi di tale indagine e propone una lettura
articolata e completa della simbologia della medaglia.
L’elemento dal quale ha preso avvio l’iter della nostra
ricerca è stato il confronto fra la figura alata sul verso
della medaglia e una moneta imperiale romana pubblicata nel 1991
nel catalogo della mostra Le Muse e il Principe: si tratta di un
denario argenteo, datato al 47 d.C, che faceva parte della vasta
collezione di monete antiche della casa d’Este (ora nel
Medagliere Estense del Museo di Modena), e che quindi Isabella e
gli eruditi della sua corte certamente conoscevano
La moneta reca: sul recto la testa laureata di Claudio,
attorniata dalla scritta TI.CLAUD.CAESAR.AUG.P.M.TR.P.VI.IMP.XI;
sul verso una figura femminile alata che avanza verso destra,
puntando un caduceo su un serpente che le si erge davanti.
Intorno corre la scritta PACI AUGUSTAE. L’iconografia della
figura alata è quella convenzionale di Nemesi, la dea del
ristabilimento della giustizia Come è stato notato
nell’impresa di Claudio – intesa come figura e motto –
“si uniscono varie immagini simboliche” che rimandano alla
Vittoria, alla salvezza, alla pace ristabilita: le ali tipiche
della Vittoria, il caduceo, il serpente salvifico. La figura
rappresenta dunque una Nemesi, ma non Nemesi come vendetta, bensì
Nemesi come giustizia positiva - sovrapponibile a Themis - che
coincide con la Pace e la Vittoria. L’iscrizione PACI AUGUSTAE,
si spiega dunque con il fatto che Nemesi, in qualità di tutrice
dell’ordine ristabilito, è il daimon preposto alla pace del
princeps e la moneta di Claudio è quindi dedicata “alla pace
augusta”.
La figura alata sulla medaglia di Isabella è dunque una
riproduzione dell’immagine impressa sul verso della moneta di
Claudio: quindi è una Nemesi.
La Nemesi di Isabella, esattamente sovrapponibile a quella di
Claudio, differisce dal modello in prima evidenza per
l’inversione speculare: il che, anziché essere un dato
negativo che smentirebbe il nesso tra la moneta romana e la
medaglia, pare una forte e certa conferma della presenza di un
veicolo di trasmissione dal modello alla riproduzione,
identificabile in un calco o in un sigillo; oggetto più
facilmente trasportabile dalla corte di Ferrara a quella di
Mantova, ché la medaglia romana non era distraibile dalla
collezione completa dei “Cesari” estensi.
Minime sono le varianti rispetto alla convenzione iconografica
antica: questa inesorabile Giustizia tiene con la mano destra
un’asta, anziché il caduceo, e con la sinistra un palmizio,
segno inequivoco di trionfo. I dettagli di differenza saranno da
considerare ritocchi eseguiti da Gian Cristoforo Romano nella
creazione, a partire dal modello sul calco, della matrice in
cera necessaria per la fusione.
La ripresa di Isabella di questa figura, il cui modello stava
nel medagliere “di casa”, è senza dubbio consapevole e
significativa. Non avevano del tutto torto i contemporanei
(Inventario Stivini) a definirla una “Vittoria”, ma si
tratta di una vittoria tutta particolare: non Nike, ma Nemesi,
Nemesis Victrix. Il ristabilimento della giustizia offesa o
tradita - la vittoria della Giustizia-Nemesi - è salvifico,
come mostra la presenza simbolica del serpente, ed è sigillo
anche per Isabella della “pax augusta”.
Un’ulteriore conferma della derivazione della medaglia
isabelliana dal denario di Claudio si trova anche sul recto:
l’acconciatura di Isabella - due trecce sottili che partono
dalle tempie e raccolgono i capelli annodandosi sulla nuca,
lasciando pendere ai lati del viso due ciocche sciolte - è
molto particolare e non è riconducibile a nessuna moda in voga
al tempo. Pare piuttosto una ripresa, quasi una citazione
tradotta in pettinatura, della corona d’alloro con nastri
sciolti tipica dei ritratti imperiali romani: la medesima
acconciatura orna il capo di Claudio sul recto della moneta che
abbiamo individuato come modello.
Identificata la figura alata in Nemesi vittoriosa, è da
interpretare la presenza del Sagittario con stella sovrastante.
Come si è detto, tutte le ipotesi finora avanzate hanno letto
nel Sagittario un segno zodiacale, variamente interpretato.
Venturi nel 1888 notava che “Il Sagittario [...] nel
simbolismo astrologico di quell’epoca significava il
potere”. E di un simbolo di potere, infatti si tratta. Per
interpretare questo segno è stato preso in considerazione un
dato ricavabile da un documento notissimo ma mai utilizzato in
modo puntuale per tutti gli elementi che può fornire
all’interpretazione.
Il codice L 5.16. (ITAL. 720) conservato nella Biblioteca
Estense di Modena, datato tra il 1474 e il 1479, contiene una
“Genalogia dei principi d’Este”. Alla c. 3v. si trovano
una serie di tondi miniati: al centro, su fondo oro, i ritratti
dei duchi di Ferrara Ercole I e Eleonora d’Aragona, e intorno
sette tondi, di cui soltanto tre riempiti dalle miniature, con i
ritratti, su fondo blu, di Lorenzo, Lucrezia, Isabella e
(mancanti) Beatrice, Alfonso, Ferrante, Ippolito. Sotto a ogni
tondo sono annotati alcuni dati anagrafici dei principi
Fortunatamente sotto la miniatura con il ritratto della piccola
Isabella sono annotati con singolare precisione i dati relativi
alla sua nascita: “[...] Naque martadì 17 mago 1474 a hore
una e meza de nocte”.
L’indicazione dell’ora, secondo le convenzioni dell’epoca,
va letta come “un’ora e mezza dopo il tramonto”.
Controllando le effemeridi, possiamo fissare esattamente
l’orario di nascita di Isabella alle 21.47. Grazie a tali,
precise, coordinate temporali (17 maggio 1474, ore 21.47) è
stato possibile redigere il tema natale di Isabella
Al momento della nascita di Isabella d’Este il locus
ascendentis cadeva nel segno del Sagittario, e più precisamente
al 27° grado. Il pianeta Giove sarebbe sorto da lì a
pochissimi minuti trovandosi così congiunto al locus
ascendentis. Sotto il profilo astrologico questa posizione del
pianeta è estremamente forte: infatti Giove, il dio e il
pianeta del potere e dell’autorità, sotto la cui tutela ogni
principe si augura di agire, è il signore del Sagittario. Dal
tema natale di Isabella ricaviamo che Giove nasceva con lei ed
era congiunto al Sagittario, suo dominio.
Tale situazione celeste è puntualmente rappresentata sul verso
della medaglia di Isabella. L’immagine, dunque, non
rappresenta un segno zodiacale in senso stretto ma la
congiunzione astrale fra un pianeta e il grado di un segno: nel
caso specifico il pianeta è Giove e la costellazione è quella
del Sagittario. Esaminando più accuratamente l’immagine sulla
medaglia si nota che l’astro rappresentato non è
genericamente una stella ma propriamente un pianeta,
rappresentato secondo la convenzione del tempo come asterisco a
otto punte. Giove e Sagittario: il pianeta della regalità e
dell’auctoritas e il suo dominio, il segno del potere. Il
simbolo sulla medaglia di Isabella è ora chiaro: non
genericamente un segno astrologico, ma la posizione astrale
felicissima di Giove, il pianeta che le conferisce autorità e
potere, nel momento preciso della nascita.
Rappresentando simbolicamente il suo tema natale l’impresa
celebra il potere personale di Isabella: come è evidente
dall’iscrizione della titolatura sul recto, a differenza di
altre donne del Rinascimento (ad esempio dell’amata cognata
Elisabetta, che sulla propria medaglia si titola FELTRIA, in
quanto sposa un Montefeltro ) Isabella non si rappresenta come
moglie di Francesco Gonzaga, ma come Signora di Mantova
detentrice in proprio del potere.
La figura del Sagittario affiancato, o meglio dominato, dal
pianeta Giove, al pari di quella della Nemesi, è mutuata
direttamente dalla monetazione imperiale romana. Una moneta
raffigurante Giove e il Sagittario fa parte di una serie di
dodici tondelli emessi da Antonino il Pio, che portano sul recto
l’effigie del princeps e sul verso ciascuno un segno zodiacale
con il rispettivo pianeta reggente, simboleggiato dal profilo
della divinità, riconoscibile dagli attributi Rispetto
alla medaglia di Isabella la moneta romana pare essere il
modello sia di forma (le composizioni sono pressoché
sovrapponibili) sia di soggetto, per il rapporto di dominazione
Giove-Sagittario: l’unica differenza sotto l’aspetto formale
è la sostituzione del profilo del dio Giove con la stella a
otto punte. Giove, che nell’antichità ellenistico-romana era
dio e pianeta, nel Rinascimento è dio-pianeta: il processo di
catasterizzazione è del tutto compiuto La variazione si
giustifica anche in ragione dell’armonia compositiva, per
evitare un eccessivo affollamento di figure nel campo del verso.
Il risultato della nostra indagine trova conforto e conferma
indiretta della validità degli strumenti metodologici
impiegati, in uno studio svolto indipendemente dal nostro. Luke
Syson (1997) ha recentemente pubblicato un articolo sulla
medaglia isabelliana in cui percorre il nostro stesso iter di
ricerca, cercando i modelli della medaglia nelle monete
imperiali romane: anche Syson identifica nella serie zodiacale
delle monete di Antonino il Pio il modello per la figura del
Sagittario e arriva anche a considerare il denario di Claudio
come possibile modello per la figura femminile alata. La figura
di Nemesi, identificata erroneamente da Syson ancora come
“vittoria” o come “pace” (sulla base di una superficiale
lettura dell’iscrizione antica) viene scartata per ragioni
estrinseche: per altro Syson mostra di non conoscere il dato
fondamentale della presenza del denario di Claudio nel
medagliere estense e quindi della sua agevole accessibilità per
la Marchesa di Mantova. Nel medesimo articolo si tenta
un’interpretazione del segno astrologico che approda a
risultati simili ai nostri, ma senza presentare alcun elemento
probante e in particolare senza considerare la preziosa notizia
sui dati natali di Isabella che si ricava dalla “Genealogia”
del codice estense di Modena.
Un’osservazione di Syson degna di nota riguarda le dimensioni:
viene sottolineato come la misura estremamente ridotta del
diametro della medaglia isabelliana - rispetto alle più ampie
dimensioni tipiche delle medaglie rinascimentali - sia un
preciso richiamo alle monete imperiali.
Questo dato, d’altra parte, a nostro avviso non è altro che
un’ulteriore conferma della derivazione della medaglia
rinascimentale dall’esemplare di Claudio. Isabella, per altro,
montando il suo personale esemplare in oro in un largo castone a
fascia, forse intendeva dare maggiore visibilità all’oggetto,
ovviando così anche allo scarto tra le dimensioni della sua
medaglia e le misure delle altre medaglie in uso all’epoca.
Va indagato ora il collegamento delle figure con il motto:
intorno alle figure di Nemesi vittoriosa sovrastata da Giove e
Sagittario corre l’iscrizione BENEMERENTIUM ERGO.
Niccolò da Correggio, che era stato incaricato da Isabella di
trovare un motto per la sua impresa, in una lettera propone alla
Signora tre motti diversi per la stessa medaglia: BENEMERENTIUM
ERGO, NATURAE OFFICIUM, GRATITUDINIS STUDIO.
Evidentemente la figura a cui andava accoppiato il motto era già
stata approntata. Isabella scelse la prima delle tre proposte,
ma tutti e tre i motti, alla luce di quanto siamo andati
esponendo, devono avere analogo significato: la riconoscenza
calorosa (studiosa, parafrasando il terzo motto proposto) verso
la natura (il cui impegno è celebrato nel secondo), o meglio
verso gli astri. Il significato del primo, che verrà prescelto
e adottato, andrà spiegato infatti nel senso: “Grazie agli
astri benevoli, a cui va il merito del mio successo”.
A questo punto sarà opportuno seguire le raccomandazioni
metodologiche dell’Abate Piccinelli che nel repertorio del suo
Mondo Simbolico (1699), afferma che l’impresa acquista il suo
preciso significato dalla lettura combinata del “corpo e
dell’anima”, ovvero delle “figure e parole”: delle
immagini e del motto.
Isabella riprende dal medagliere imperiale dei Cesari
un’immagine potente: la Nemesi non solo vendicativa, ma
pacificatrice, del denario di Claudio. E la ripresa diretta
della figura e del suo significato dalla moneta imperiale è
un’importante e certa conferma dell’ipotesi che le monete
antiche costituivano il primo repertorio iconografico a
disposizione degli artisti a cui venivano commissionate le
medaglie dei nuovi principi.
Isabella rappresenta se stessa in veste di Nemesi (si noti la
somiglianza della pettinatura del ritratto con quella del daimon
sul verso), e così, per figura, simboleggia la sua virtù e la
sua ambizione: nata insieme alla stella del potere, sarà lei
Nemesi che provvederà a “saeclum renovare”. Lei stessa, che
- come ricorda Giovio – “in diversi tempi della vita sua
hebbe varji affronti di fortuna”, sarà una Giustizia
inesorabile, pronta a riconvertirsi in Vendetta contro chi
ostacola i suoi disegni.
Nemesi dunque, tremenda, inesorabile (anche vendicativa)
Giustizia; ma anche Nemesi salvifica (il serpente) come quella
della medaglia romana da cui trae ispirazione; Nemesi
vittoriosa, come quella del modello antico, alata come una Nike;
Nemesi con il palmizio e l’asta (al posto del caduceo),
attributi anche della divina Astrea, il nome luminoso di Nemesi
nell’età dell’oro, prima che essa fuggisse in cielo e la
terra piombasse nella desolazione.
Ma ora - dice la figura di Isabella - la riconversione è
possibile: Nemesi, nella rinnovata età dell’oro, può tornare
a essere la vergine Astrea e a riportare nel mondo felicità,
pace e giustizia. Anche perché sulla ristabilita Giustizia
brilla la luce potente di Giove e del suo segno: e agli astri si
deve gratitudine per questo augurato trionfo.
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di Loreno
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