Caccia al Tesoro!

(Convegno di Lavagna 2006)

di Laura Poggiani

 


Ricordate il libro "L'isola del tesoro" di Robert L. Stevenson? Nel suo magistrale romanzo, Stevenson sottolinea l’aspetto tipico del cercatore d’oro: un’inesauribile avidità che spesso, nella ricerca spasmodica del prezioso metallo, l’oro, lo porta ad inseguire miraggi o a subire una morte violenta, magari depredato del prezioso bottino proprio nel momento in cui lo si è appena trovato, da parte di altri cercatori altrettanto avidi. A questa componente, se ne associa un’altra: l’immaginazione, la fede cieca nelle leggende, il fascino che, da secoli, ha ammantato storie di tesori perduti nel mare o sepolti sotto la sabbia del deserto. Questo ha fatto si che, per tutto il XIX sec. “cercatore d’oro” coincidesse spesso con “archeologo” e soprattutto aree antiche come la piana di Giza, in Egitto, furono perlustrate quasi palmo a palmo nella disperata ricerca di una tomba faraonica ancora intatta, che potesse mostrare tutti i suoi preziosi tesori.

ORO, RE DEI METALLI PREZIOSI



Ma qual’è il fascino di questo metallo giallo? Associato al Sole in virtù della sua lucentezza, l’oro (chiamato dagli indios sudamericani “il sudore del Sole”), ha come formula chimica AU, sigla che deriva dal latino “aurum”, cioè “alba lucente”. L’oro è un metallo così malleabile che 30 gr possono dare luogo ad un filo lungo 30 km oppure un foglio sottilissimo largo 50 m2. Può trovarsi sia in cima a montagne di quarzo che nei meandri della Terra ma è comunque in grado di suscitare passioni, adorazione e soprattutto cupidigia. L’oro e’ d’altra parte il Re dei metalli, inalterabile all’acqua, al fuoco e pertanto sempre lucente anche dopo migliaia di anni. Anche l’argento e il platino hanno caratteristiche simili, ma non così perfette.
Con la conquista delle Americhe, l’oro fece prepotentemente la sua comparsa nella vita degli spagnoli, trasformando in realtà i sogni più avidi e inimmaginabili dei conquistadores. Inviati dal Re di Spagna, che aveva assolutamente bisogno del metallo pregiato per pagare le sue truppe, all’epoca impegnate in lunghe ed estenuanti guerre soprattutto con il nemico numero 1, l’Inghilterra, i conquistadores spagnoli, con la scusa di convertire alla religione cattolica le popolazioni indie che si trovavano in territori quali Messico, Cile e Perù, si facevano consegnare tutto l’oro che quelle popolazioni possedevano in abbondanza. Tutti gli oggetti e i gioielli maya, incaici e aztechi venivano quindi fusi per creare lingotti oppure per coniare monete, quindi messi in botti di legno e caricati su navi per il trasporto verso la Spagna. Questi viaggi però non erano scevri di pericoli, dai pirati comandati dall’inglese Sir Francis Drake, alle intemperie che le navi, dal punto di raccolta della Florida, si trovavano ad affrontare.


ALLA RICERCA DELL’ELDORADO


 
La caccia all’oro divenne una vera e propria febbre, così, nel Nuovo Mondo, fu anche fondata una città, Jamestown, dove i coloni vi abitavano esclusivamente per trovare il prezioso metallo per conto dei sovrani. A Jamestown però non fu trovato nulla fino a quando fu casualmente scoperta una singola pepita da 7 kg, da un ragazzo che aveva marinato la Messa. Non fu riconosciuta però come tale e la sua famiglia la utilizzò come ferma porta per  poi venderla per 2,5 $. Presto però nascerà una nuova figura, quella del cercatore d’oro.

Nel 1839 John Setter costruì un fortino dando lavoro a un centinaio di persone. Voleva costruire un mulino per fornire tutti i beni di prima necessità ai coloni ma per scavare il fossato per il mulino, fu notato un pezzo d’oro. Setter tenne segreta la scoperta ma un suo operaio, che si era fermato ad un saloon, non avendo contanti pagò con la pepita. L’acquirente sparse la voce a S. Francisco che era stato trovato l’oro  così dall’Oregon iniziarono ad arrivare i cercatori. La popolazione della California crebbe allora in modo considerevole, in una assurda corsa al prezioso metallo, introducendo la regola che l’oro trovato apparteneva al cercatore e non più al sovrano o al Conquistatore come avveniva in precedenza.


CARATTERISTICHE ZODIACALI DEL CERCATORE D’ORO



I segni di Terra, ed in particolare Toro (avidità) e Capricorno (ambizione, desiderio di  “lasciare un segno” nella Storia) sono indubbiamente quelli che maggiormente predispongono alla ricerca del metallo prezioso. Inoltre, secondo il “Dizionario di Astrologia” di H. Gouchon, l’avidità sarebbe segnalata da cattivi aspetti tra Marte e Giove, Mercurio in Ariete e leso.
Inoltre Nettuno in posizione forte, soprattutto congiunto ai Luminari o ad altri punti importanti del Tema, aggiunge la ricerca fantastica, l’illusione, il fascino per i tesori nascosti in mezzo al mare mentre Plutone predispone maggiormente alla ricerca archeologica, ai tesori nascosti nelle viscere della Terra.


SCHLIEMANN, SULLE TRACCE DI OMERO



Heinrich Schliemann nacque il 6 gennaio 1822 nel piccolo villaggio di Neu Buckow, in Germania. Il suo interesse al poema omerico “La guerra di Troia” cominciò quando suo padre, un pastore protestante, gli regalò, nel Natale del 1829, il libro di Ludwig Jerrer intitolato “Storia Illustrata del Mondo”. I suoi sogni, però, si frantumarono quando suo padre fu accusato di malversare i fondi della Chiesa ed Heinrich fu costretto a lasciare gli studi.

Dopo varie peripezie, e aver speso i suoi guadagni per progredire nello studio, soprattutto linguistico, sebbene finalmente stesse realizzandosi il suo sogno di diventare ricco, Schliemann rimase uno spirito torturato alla ricerca di una ricchezza sempre maggiore. 
Più ricco diventava, però, e più Schliemann era paranoico, solitario, con una paura sempre crescente che gli fosse rubata la sua ricchezza.  Trovò conforto allora nell'Odissea di Omero. Decise così di partire per la Grecia e raggiungere Itaca, andando alla ricerca del Palazzo di Ulisse. Usando Omero e le leggende locali come guide cominciò a scavare sull'istmo dell'isola. Non avendo trovato molto ad Itaca, Schliemann si mise alla ricerca di Troia che a quel tempo si credeva fosse a Bunarbashi, ma Schliemann pensò che la collina vicina ad Hissarlik fosse un'area più probabile. Finalmente, il 18 giugno 1872, Schliemann scoprì un bassorilievo del dio Apollo che guida i quattro cavalli del sole. Sebbene  avesse promesso di dare la metà di quanto da lui trovato allo Stato turco, esportò di contrabbando dal paese il bassorilievo che finì per adornare il suo giardino per molti anni.

La prima scoperta di una certa entità avvenne il 4 agosto 1872 quando vennero alla luce tre orecchini ed una spilla da abito entrambi d’oro, accanto ad uno scheletro femminile che Schliemann pensò appartenere ad una vittima del rogo di Troia.  Nel maggio 1873 il suo equipaggio trovò le fondamenta di un grande edificio in prossimità del quale Schliemann rinvenne un tesoro più cospicuo che pensò fosse quello di Re Priamo.

Il governo turco però, accertata la sua slealtà, pretese da lui la restituzione di tutto quanto rinvenuto. Schliemann rifiutò e convinse il governo greco a rilasciargli il permesso di scavare a Micene dove, usando testi antichi e leggende locali, trovò altri tesori e due lapidi che lo convinsero di aver riportato alla luce i corpi di personaggi mitici come Agamennone e Cassandra.

Tornato a Hissarlik, il 21 ottobre 1878 trovò un piccolo nascondiglio che conteneva diversi oggetti in oro, argento ed electrum. Questa volta Schliemann fu capace di tenere solamente un terzo delle sue scoperte e il Museo Imperiale di Costantinopoli chiese il resto.  Heinrich Schliemann rinvenne il suo ultimo tesoro nell’aprile 1879.

Capricorno con ben 4 pianeti nel segno (oltre al Sole anche Mercurio, Urano e Nettuno). Nettuno riveste una posizione preminente, cong. al Sole, oltre che ad Urano e Mercurio nonché in trigono a Marte. La Luna è presumibilmente collocata in Cancro, all’opposizione così dello stellium in Capricorno: il segno del Cancro sottolinea l’amore per il passato, la storia, mentre l’opposizione ai pianeti in Capricorno spiegherebbe le vicissitudini familiari prima e con le donne dopo.

Il NN si trova congiunto ad un pianeta importante, Venere, che forma molti aspetti significativi. La natura di Venere sottolinea come i tesori ritrovati da Schliemann fossero prevalentemente gioielli.
 
Nel suo Tema, l’avidità è segnalata dalla dura, doppia quadratura che il Sole riceve sia da Giove che da Saturno.  Proprio le lesioni di Giove sono artefici della sua spasmodica ricerca di ricchezza, mai saziata.


CARTER E L’ORO SEPOLTO DI TUTANKHAMON



Ingaggiato per tre mesi dal British Museum, fu inviato, nell'ottobre del 1891, in Egitto come copiatore. Giunto successivamente a Tell El Amarna ottenne di poter partecipare agli scavi trovando  i frammenti della statua di una regina, le fondamenta di un grande tempio e un anello da sigillo appartenente a Tutankhamon, il faraone dimenticato.
Successivamente giunse a Luxor dove rinvenne il tempio della regina Hatshepsut.  Iniziati gli scavi nella Valle dei Re trovò l’ultima dimora, già depredata, del faraone Thutmosi IV. Proseguendo rinvenne anche la sepoltura dell’eccentrica sovrana Hatshepsut che lo rese celebre.

Ma la sua scoperta più famosa fu indubbiamente il ritrovamento, finanziato da Lord Carnavon, della tomba quasi intatta del faraone Tutanhkamon.
La ricerca ebbe inizio a Luxor il primo novembre 1922. Sotto l’ingresso sepolcrale di Ramses IV, liberate dalle macerie, vennero alla luce le fondamenta delle capanne erette tremila anni prima dai costruttori di necropoli. Carter le fece rimuovere, trovando così un gradino nella roccia e, successivamente, ne disseppellì dodici, nonchè la parte superiore di un portale murato. La malta millenaria recava impressi i sigilli. Cinquanta centimetri più sotto comparvero anelli con il nome, il segno del sole e lo scarabeo: Tut-ankh-Amon. Verso le quindici del 26 novembre 1922, a otto metri e mezzo dal portale d’ingresso apparve una seconda porta sigillata dietro la quale emersero cose favolose: il tesoro del faraone bambino.

Nato sotto il segno del Toro, con Sole, NN e Mercurio nel segno, Carter ha una personalità  decisamente testarda e perseverante, che gli ha permesso di non desistere di fronte alle difficoltà fino al raggiungimento del proprio obiettivo: trovare una tomba intatta di un Faraone egizio. La fortuna e la determinazione sono garantite dal trigono tra Giove, a 21° Vergine, con Plutone (i tesori nascosti nel ventre della Terra), a 21° Toro e congiunto al Sole, a 18°. Saturno, presumibilmente congiunto alla Luna, nel segno dell’Aquario, rafforza l’ambizione mentre il quadrato secco ai pianeti in Toro gli ha causato i conflitti con il Governo Egiziano.

Nettuno, anche se in Ariete, e’ comunque congiunto allo stellium arietino: ancora una volta troviamo la sua impronta nella personalità del soggetto che tende a inseguire sogni e fantasie.  L’attrazione per la storia, gli edifici in pietra (non dimentichiamo che a lui si deve anche il ritrovamento del più grande tempio egizio, quello della regina Hatsepsut), e’ segnalato dalla congiunzione Luna-Saturno in Aquario mentre ancora una volta la congiunzione del NN al Sole richiama un destino quasi karmico nella ricerca ossessiva di un tesoro nascosto.


MEL FISHER  E IL PIU’ GRANDE TESORO DEL MONDO



Il commercio con le colonie spagnole seguiva un sistema ben stabilito. A partire dal 1561 e fino al 1748, due flotte ogni anno venivano spedite nel Nuovo Mondo. Le navi portavano gli approvvigionamenti ai coloni e tornavano poi indietro piene d’argento, oro, e derrate agricole per il viaggio di ritorno in Spagna.

Le flotte salpavano da Cadice, in Spagna, all’inizio dell’anno, seguendo la rotta approssimata che Cristoforo Colombo aveva tracciato pochi anni prima. All’arrivo nei Caraibi, le due flotte si dividevano: la flotta “Nueva España” continuava verso Veracruz, in Messico, mentre la “Tierra Firme” si dirigeva verso Portobello, a Panama. Qui le navi venivano scaricate ed il carico di argento e oro portato a bordo. Per il viaggio di ritorno, la flotta si radunava all’Avana, poi risaliva il Golfo, a  nord, lungo la costa della Florida, prima di girare ad est quando si raggiungeva la stessa latitudine della Spagna.

Queste flotte affrontavano molti ostacoli, i maggiori dei quali erano i pirati ed i cicloni. Si sapeva infatti che la stagione degli uragani cominciava a fine luglio, così per questa ragione la partenza doveva avvenire prima di quel periodo. Inoltre, a protezione contro i pirati, ogni flotta era dotata di due galeoni di scorta ben armati. La nave di testa era nota come capitana mentre l'altro galeone, denominato amaranto, era trainata sul retro.
 
Nel 1622, un nuovo galeone di 110 piedi, il “Nuestra Señora de Atocha”, fu designato come amaranto della flotta “Tierra Firme”. Come scorta militare, l'Atocha trasportava un’intera compagnia di 82 soldati di fanteria per la difesa del vascello dagli attacchi e possibili abbordaggi nemici. Per questa ragione, la Atocha era anche la nave scelta per i passeggeri ricchi e trasportava una percentuale straordinariamente grande di tesoro della flotta.
 
A causa, però, di forti ritardi dovuti alle ingenti operazioni di carico la flotta “Tierra Firme” potè partire da Portobello solo il 22 luglio 1622. A Cartagena, l'Atocha ricevette un carico supplementare di tesoro: molto oro e argento di produzione delle miniere locali e di Santa Fe’ de Bogotá. Era ormai alla fine di agosto, proprio nella stagione degli uragani, quando la flotta arrivò all’Avana.

Il 4 settembre, domenica, con tempo quasi perfetto, fu deciso di prendere il largo per la Spagna. Le ventotto navi della flotta levarono l’ancora ed in fila indiana si diressero a nord, verso le Florida Keys e la forte corrente del Golfo. L'Atocha, appesantita dal suo carico, prese la posizione assegnatale sul retro. Alla sera, il vento cominciò a soffiare da nord-est, crescendo di intensità  durante la notte. Allo spuntar del giorno le onde del mare erano alte come montagne e per sicurezza, la maggior parte dei passeggeri era sottocoperta col mal di mare o in preghiera. Per tutto il giorno seguente, il vento spostò a sud la maggior parte della flotta, oltre la Secca della Tortuga e nelle acque relativamente sicure del Golfo del Messico.

L'Atocha, il Santa Margarita, la Nuestra Señora del Rosario e due vascelli più piccoli, tutte in coda al convoglio, ricevettero il pieno impatto del temporale e non furono così fortunate. Con le loro vele ridotte a brandelli, gli alberi abbattuti o rotti, le navi andarono alla deriva senza speranza verso le scogliere. Tutte le cinque navi andarono perse. L'Atocha, che fu alzata da un'onda, si fracassò violentemente su una scogliera di corallo e affondò immediatamente, trascinata sul fondo dal suo carico pesante costituito da tesoro e cannoni.

Il giorno seguente, una piccola nave da carico troverà cinque superstiti dell’Atocha che ancora si aggrappavano al relitto della nave. Erano tutto ciò che restava di 265, tra passeggeri ed equipaggio.  Subito iniziarono i tentativi di recupero dell'Atocha, che fu localizzata a 55 piedi di profondità, con la cima del suo albero a vista. La Nuestra Señora del Rosario fu trovata in acque poco profonde e fu relativamente facile da recuperare, ma gli altri vascelli non poterono essere recuperati. Mentre coloro che avevano salvato i naufraghi erano all’Avana per ottenere l'attrezzatura corretta per recuperare il tesoro dell'Atocha, un secondo uragano devastò l'area e lacerò definitivamente la struttura superiore e gli alberi della nave. Quando questi ritornarono, nessuno sapeva dove il naufragio era avvenuto. I tentativi si protrassero per i successivi 10 anni ma si dimostrarono inutili. Il Santa Margarita fu scoperto nel 1626 e molto del suo carico fu recuperato negli anni successivi. Ma, tempo ed eventi annullarono lentamente i ricordi dell'Atocha. Il registro della nave trovò posto nell'Archivio delle Indie a Siviglia, in Spagna, e fu dimenticato per secoli.
 
Nel 1942  fù  sviluppato l’autorespiratore che consentì successivamente negli anni 60 la scoperta di dieci imbarcazioni della flotta spagnola del 1715 naufragate vicino a Vero Beach, Florida. Questo grande ritrovamento, altamente pubblicizzato, condotto dalla Real Eight Corporation, accese un interesse senza precedenti nel recupero di galeoni coloniali spagnoli, tuttora molto forte. Fu questo evento che scatenò la fantasia di persone come Mel Fisher.
Dopo avere partecipato all'operazione di recupero della flotta del 1715, Mel formò, una compagnia chiamata Treasure Salvors e cominciò a cercare il  leggendario tesoro dell’Atocha. Il suo sforzo durò un periodo di sedici anni, dal 1970 al 1986 ed è di per sé un libro. Giunse alla riscoperta del Santa Margarita nel 1980 e dell’Atocha il 20 luglio 1985: la sua carcassa giaceva ad una profondità di 55 piedi, precisamente come registrato dai primi soccorritori nel 1622.
Mel Fisher  nacque il 21 agosto 1922, a Hobart, nello Stato dell’Indiana. Sole, Nettuno e, presumibilmente, Luna nel segno del Leone, non poteva che essere attratto irresistibilmente dal metallo, l’oro appunto, da sempre associato al quinto segno dello Zodiaco. Nettuno è in trigono a Marte, in Sagittario: il grande idealismo e immaginazione di Mel, diventano energia e forza fino al raggiungimento degli obiettivi previsti.  Con il carisma tipico di molti Leoni, infatti, è riuscito a coinvolgere nel suo progetto di ricerca molte altre persone ottenendo la loro collaborazione a livello gratuito, permettendogli di effettuare ricerche per ben 16 anni prima dell’eccezionale ritrovamento.
La congiunzione di Saturno al NN suggerisce quasi un “compito karmico” per Mel che ha dedicato gran parte della sua vita alla raccolta di informazioni prima e alla ricerca sistematica poi del galeone spagnolo Atocha. Saturno è anche congiunto a Venere e Giove, questi ultimi in sestile alla possibile congiunzione Luna-Nettuno, assicurando un felice epilogo della ricerca di Mel per una notevole dose di fortuna.
 


di Laura Poggiani - Tutti i diritti riservati