|
PERCEZIONE ED ORGANIZZAZIONE DEI COLORI di Patrice Guinard |
|
"Quelli
che compongono con luci di colori la luce unica ed essenzialmente bianca,
sono i veri oscurantisti. " Goethe avrebbe cambiato la sua poesia, i suoi racconti e, probabilmente, anche il resto delle sue opere per la sua Teoria dei colori. Johann Eckermann, il confidente degli ultimi anni della sua vita, riporta le sue sorprendenti parole: “Di tutto quello che ho fatto come poeta, non ottengo nessuna vanità. Ho avuto come contemporanei buoni poeti, ne sono vissuti anche di migliori prima di me e ce ne saranno altri dopo. Però, essere stato l’unico del mio secolo che c’ha visto chiaro in questa difficile scienza dei colori, ebbene sì, di questo vado fiero, e sono cosciente di essere superiore a molti saggi”. [1] Per Goethe, non si tratta tanto di conferma e dimostrazione scientifica, ma di comprensione e verità. [2] Il colore saprebbe essere compreso dalla ragione strumentale. Ci sono campi della conoscenza che sfuggono, a causa della propria natura, all’analisi matematica e strumentale della scienza, dato che attraverso la questione dei colori si profila l’interrogativo goethiano sulla modernità del suo secolo, quello dell’Illuminismo e dei modi di pensare che modificano i discorsi e le rappresentazioni mentali. "Io riverisco i matematici (…) però non approvo che si voglia far abuso delle cose che non appartengono al loro campo e dove questa nobile scienza diviene assurda, come se esistesse solo ciò che può essere dimostrato matematicamente! [3] Per Goethe, il tema dei colori divenne una questione personale, ovviamente non in ragione delle spiegazioni psico-sociologiche (molto spesso tanto volgari quanto illusorie) sostenute dal giovane Eckermann [4] , ma perché la questione metteva in discussione ciò che lui era, a cominciare dalla sua visione del mondo, in quanto il ragionamento elaborato sia nella “Teoria dei colori” che nella “Metamorfosi delle piante” è di tipo matricial e Goethe è senza alcun dubbio uno dei massimi rappresentanti del suo secolo. Il colore deve essere compreso globalmente non analiticamente, deve essere un fatto visuale prettamente sensuale. La percezione dei colori dipende dall’equilibrio della luminosità ambientale: nell’oscurita tutto è nero e niente si può distinguere se la luminosità è eccessiva. Goethe espone nella quarta parte del suo trattato due idee essenziali: l’origine dei colori (del blu e del giallo) a partire dall’oscurità e dalla luce, fino ad arrivare alla nascita del colore “finale”, il rosso, per intensificazione di ognuno dei due colori precedenti. [5] Per cui, il rosso, è la risultante dell’oscuramento del giallo e la schiarita del blu. I tre colori intermedi (il verde, il viola, l’arancio) completano la disposizione cromatica essendo l’evoluzione e una miscela dei tre colori principali, infatti il giallo, che proveniente dalla luce, e l’azzurro dall’oscurità, si mischiano per dare il verde e si intensificano per dare l’arancio ed il viola per arrivare infine al rosso. La teoría genética dei colori, che Goethe oppone alla sperimentazione newtoniana, quella della scomposizione spettrale della luce bianca in sette colori essenziali (tra i quali, l’indaco, che è artificiale e introdotto senza dubbio per soddisfare l’analogia tra la gamma cromatica e quella musicale), riunisce l’esperienza dei tintori artigiani e dei pittori, come per esempio Leonardo da Vinci, il quale distingue i colori della luce (come il giallo ed il rosso) da quelli dell’ombra (azzurro e verde). Spiegato in un altro modo, possiamo anche dire che Goethe oppone alla sperimentazione empirica strumentale della luce, la percezione e l’osservazione sensoriale “naturale” degli oggetti e delle loro tonalità cromatiche sottoposti alla luce. Si tratta meno di obiettività e soggettività – il punto del pensatore di Weimar è tanto obiettivo quanto quello del suo predecessore- che di una differenza di natura nella qualità della percezione: una è naturale ed universale, l’altra è mediatizzata, strumentalizzata ed il frutto esclusivo di una cultura definita, quella ottenuta da conferme strumentali che, ha bisogno di affermare la sua “universalità” e la sua “obiettività” anche se in disaccordo con la percezione comune. [6] I colori di Goethe possono essere disposti in un circolo cromatico (cf. Diagrama 1A), nel quale i colori complementari si oppongono diametralmente, o incluso, in uno schema triangolare con i tre colori fondamentali agli angoli, ed i tre colori intermedi ai lati. [7]
Nel 1969, i linguisti Berlin e Kay dimostrarono che i termini utilizzati dalla maggior parte delle lingue per designare i colori, si riassumono in 11 voci fondamentali, precisamente quelle che definiscono i colori dei due circoli cromatici: “anche se esiste un numero diverso di categorie di colori fondamentali in seno a ciascuna lingua, ne troviamo comunque 11 fondamentali che vengono condivise da tutti, a partire dalle quali le undici voci (ed a volte anche meno) dei colori di base in qualunque delle lingue che vogliamo analizzare, sono sempre rappresentate. Queste undici categorie di colori sono: il bianco, il nero, il rosso, il verde il giallo, l’azzurro, il viola, l’arancio ed il grigio." [8] D’altra parte, Berlin e Kay, scoprirono che esisteva un ordine di prelazione che concerne le voci scoperte, nel caso che certe lingue possedessero un numero molto limitato di termini per designare i colori: “Tutte le lingue posseggono un termine per indicare il bianco ed il nero. Se una lingua ha tre termini per designare i colori allora uno di queste designa il rosso, se ne possiede quattro ne utilizza uno per indicare il verde o il giallo, e così via per arrivare al caso in cui la lingua possedesse più di 7 termini, la quale cosa significherebbe che oltre a quelli di elencati sopra, può indicarne altri come risultante dalle differenti combinazioni e tonalità tra gli stessi di base. " [9] Possiamo
allora immaginare una disposizione cromatica a doppio circolo, col rosso
posto nel centro, colore essenziale per Goethe, e del quale i linguisti
americani ne sottolineano l’importanza, o perfino una disposizione a
stella, la quale riunisce i due diagrammi precedenti e nella quale ognuno
degli undici colori si situa nelle vicinanze dei colori che gli sono
affini in quanto a tonalità cromatica. (cf.
Diagrammi 2 y 3).
"Esistono undici categorie fondamentali di colori riconosciuti dalla
percezione umana, i quali servono da riferimenti psicologici agli undici
termini, a volte meno, utilizzati da tutte le lingue per designare questi
colori. " (Berlin
& Kay: Basic color terms)
Secondo Berlin y Kay, la percezione umana riesce a distinguere,
universalmente, undici categorie di colori secondo i termini che servono
per designarli, i quali si trovavano in seno alle lingue ed alle
differenti culture. I risultati di questo studio antropologico-linguistico
furono rifiutati dalla critica analitica, ostile a qualunque incursione
nel tema da parte della ragione matricial.
Dato que è questione di numeri, come per i cinesi o gli induisti, ci
troviamo in presenza di una materia che interessa in primo luogo il
pensiero matricial. (9bis)
Ora, i pianeti, come dimostrato, sono operatori psichici che agiscono sulla percezione delle cose reali, sono precisamente in numero di dieci (o undici mettendo in conto alcuni asteroidi ed il loro rappresentante Cerere), così da giustificare “l’analogia” tra pianeti e colori. Plutone NERO, la Luna BIANCO, Marte ROSSO, il Sole GIALLO, Urano AZZURRO, Venere VERDE, Giove ARANCIO, Nettuno VIOLA, Saturno GRIGIO, Mercurio MARRONE. Mercurio, tornasole e convogliatore di tutti i colori mescolati. Saturno, il mal amato, con le sue mille tonalità senza colori. Nettuno, spettro senza pari, di propositi generosi. Giove, il brillante, luminoso per la sua potenza. Venere, verde vivo vegetale. Urano, azzurro del cielo limpido. Sole, luce. Marte, l’arancione, sanguinante. Luna, pura, consacrata al silenzio. Plutone, l’ultimo eletto, invisibile e ombroso. Al fine di associare gli undici colori di Berlin e Kay con i dieci pianeti del Planetario (o undici con Cerere, rappresentante degli asteroidi) sono stati tenuti in conto certi principi logici: · L’organizzazione dei pianeti in una serie cromatica continua, riunendoli al massimo dei colori possibili, difatto un solo colore, il rosa, non trova una collocazione qui. · L’attribuzione dei colori più caldi (giallo, arancio, rosso, marrone e viola) ai pianeti di eccitazione o apertura, e dei colori più freddi ai pianeti di inibizione e chiusura. · La messa in evidenza di un asse o di un centro di simmetria relativo alle coppie di pianeti ottenuti dall’organizzazione del Planetario. La mia intuizione iniziale si riferisce ai quattro pianeti centrali del "Tai Chi planetario": il Sole, la Luna, Marte e Plutone [10] , ai quali gli si attribuiranno i loro colori “visibili”: giallo, bianco, rosso e nero. Questi quattro colori, i più scelti per i vocaboli differenti in seno alle lingue più diverse, secondo lo studio di Berlin e Kay, sono anche quelli dei quattro umori della medicina greca: la bile gialla, il flemma, il sangue e la bile nera. [11]
Il problema della simmetria si trova risolto (condizione 3) dato che i
quattro pianeti appartengono a due coppie planetarie, svelando un asse
simmetrico Azzurro-Marrone, ma lascia ancora 6 possibilità. Il grigio
sembra associarsi perfettamente a Saturno, mentre l’arancio a Giove.
Rimangono Mercurio e Nettuno, se ragiono a partire dai pianeti
“caldi”, il marrone e più consono a Mercurio ed il viola a Nettunon
che non l’inverso. Da ciò deriva l’attribuzione del verde a Venere e
dell’azzurro a Urano, il quale, a prescindere dalla sua valutazione
mitologica (Dio del Cielo), è stato più difficile da parte mia accettare
come associazione. Il rosa, miscela tra rosso e bianco, anche se escluso
dal circolo cromatico, si associa perfettamente, in questa logica, agli
asteroidi ed al loro rappresentante Cerere, dato che sono stati definiti
nel testo precedente [12]
dalla formula Unicità-molteplicità,
risultante dalle formule attribuite a Marte (rosso) e la Luna (bianco). Diagramma del circolo Cromatico planetario
I colori dei due circoli cromatici (cf. diagramma 1), salvo il rosa, possono combinarsi in uno schema rettangolare con i colori associati ai pianeti “caldi e secchi” (Marte, Giove, e Sole) sopra, sotto quelli associati ai pianeti “reddi e umidi” (Luna, Saturno e Plutone), e nel centro quelli associati ai pianeti con una natura ambigua: Mercurio neutro, Venere notturna e femminile per i greci, ma umida e moderatamente calda per Keplero, Urano e Nettuno di natura indecisa e differentemente appezzata a seconda degli astrologi. (cf. diagramma 5).
Al principio de 'planetary colours', el diccionario de Fred Gettings da una mezcla de atribuciones de ciertos autores (William Lilly, Helena Blavatsky, C. Libra, H.L. Cornell y Manly Palmer Hall). Entre los muy diversos colores mencionados para cada planeta, figuran para la Luna el Blanco, para Mercurio el Marrón, para Venus el Verde, para el Sol el Amarillo, para Marte el Rojo, para Saturno el Gris, para Urano el Azul, para Neptuno el Malva y para Plutón el Negro. [14] Sólo Júpiter, al cual estos autores atribuyen azules y violáceos, escapa a la concordancia con los colores que yo propongo. Lo mismo le ocurre a Jean Mavéric. Curiosamente, Françoise Gauquelin apuntó por su parte una cierta incoherencia en cuanto a la atribución a Júpiter por parte de los astrólogos de rasgos caracteriales. [15] Podría ser, como consecuencia, que haya un "problema jupiteriano" para los astrólogos. Se sabe que los babilonios concedían una gran importancia a la visibilidad y a la apariencia de los planetas, condiciones iniciales y necesarias del pronóstico astrológico. Rumen Kolev da la siguiente lista, según diversas fuentes: Luna Azul, Sol Amarillo, Marte Rojo, Mercurio variable, Venus Blanco, Júpiter Naranja, Saturno Gris. [16]
Los Sabeos de Harrân, una comunidad de paganos helenizados, han
conservado la enseñanza astrológica de los babilonios hasta el siglo X
d. de C. La ciudad de Harrân poseía 7 puertas y 7 templos, cada uno de
ellos dedicado a un dios astral babilonio, construido según una forma
geométrica característica y asociada a un metal y a un color (según un
texto de Ibn Shaddâd, 1216-1285): Sîn (la Luna, Blanco), Nabû
(Mercurio, Marrón), Ishtar (Venus, Azul), Shamash (el Sol, Amarillo),
Nergal (Marte, Rojo), Marduk (Júpiter, Verde), Ninurta (Saturno, Negro). [17] Los 7 colores de los templos de Harrân son, por otro lado, los 7
primeros de la lista de Berlin y Kay. El cuadro comparativo que hay
a continuación, resume estas diversas atribuciones.
La Settimana planetaria ed i Metalli
"Abbiamo anche scoperto che i sette metalli della tradizione alchemica, ossia l’argento, il mercurio, l’oro, il piombo, il ferro, il rame e lo stagno, producevano variazioni molto particolari nella molecola del DNA." (Étienne Guillé) I giorni della settimana, nella maggior parte delle lingue indo-europee, hanno nomi associati ai pianeti : lune-dì (giorno della luna), marte-dì (giorno di marte)… fino alla domenica, in inglese Sunday (giorno del sole). Anche se questo legame astrologico è solidamente ancorato al nostro vocabolario ed alla nostra cultura, questi attributi non hanno nessuno stretto valore astrologico , dato che sono il risultato di un semplice procedimento aritmetico senza fondamento fisico. La settimana planetaria, testimoniata sin dal II secolo a.c., sarebbe di origine mesopotamica o siriana: i greci e gli egiziani, a differenza dei popoli semiti, non conoscevano la settimana formata da 7 giorni. [18] Un’applicazione diretta della settimana planetaria appare nel dispositivo "pseudo-astrologico" delle ore planetarie o cronocratorie, probabilmente di origine egiziana: ognuna delle 168 ore della settimana sarebbe governata da uno dei pianeti del settenario, i pianeti reggenti delle ore si succedevano seguendo l’ordine descrescente delle loro rivoluzioni siderali, ciò che permette alla prima ora di ogni giorno di essere retta dal pianeta di questo giorno seguendo il dispositivo della settimana planetaria. Quindi, la prima ora (quella del sorgere del sole) del sabato è retta da Saturno, la seconda da Giove, la terza da Marte, fino alla settima retta dalla Luna. L’ottava, come la quindicesima e la ventiduesima, sono di nuovo rette da Saturno, la ventitreesima da Giove e la ventiquattresima da Marte, cosa che automaticamente porta la prima ora della domenica a essere retta dal Sole, poi la prima ora del lunedì retta dalla Luna, fino alla prima ora del venerdì che è retta da venere. Un’altra applicazione artificiale della settimana planetaria si trova nel dispositivo delle faces, o decani zodiacali retti dai pianeti: ognuno dei 36 decani sarebbe governato da un pianeta del settenario secondo lo stesso ordine decrescente delle sue rivoluzioni siderali, iniziando in questa occasione da Marte, domicilio e reggente del primo decano dell’Ariete, ciò quindi conduce a Mercurio reggente del primo decano del Toro, Giove reggente del primo decano dei Gemelli, fino a Saturno, Giove e Marte per il primo, secondo e terzo decano dei Pesci. In questo modo i pianeti che governano i primi decani di ciascun segno si succedono seguendo l’ordine della settimana planetaria, da Marte (martedì) in Ariete, fino alla Luna (Lunedì) in Bilancia, poi Marte di nuovo in Scorpione fino a Saturno in Pesci. Questa teoria è tanto artificiale che sincretizza due dispositivi di origine aritmetica: quella della divisione in decani dello zodiaco, e quello della settimana planetaria. Più genericamente, e lo mostrerò più avanti, l’insieme delle teorie sulla natura numerologica, probabilmente ideate negli ambienti sincretici ed ermetici greco-egiziani, non solo non hanno fatto progredire l’astrologia, ma sono un segnale del suo degrado. Il positivista Bouché-Leclerq (1899), grazie a tali teorie, riesce facilmente a stigmatizzare in toto l’astrologia, mentre Françoise Scheneider-Gauquelin prevede di abbandonare una parte di questi modelli per tornare ad un’astrologia sperimentale e di osservazione, probabilmente quella che si praticava in Mesopotamia alcuni secoli fa. [19] Anche se la settimana planetaria e le teorie astrologiche che ne derivano non abbiamo alcun valore astrologico probatorio, la serie planetaria “artificiale” è servita probabilmente a codificare una conoscenza che lo è assai meno, cioè quella dei metalli associati ai pianeti. I principali metalli conosciuti nell’antichità, eccetto lo Zinco, sono stati associati ai sette pianeti conosciuti: l’oro al Sole, l’argento alla Luna, il ferro a Marte, il rame a Venere, lo stagno a Giove, il piombo a Saturno e il mercurio a Mercurio, probabilmente in un’epoca nella quale l’alchimia manteneva una relazione molto stretta con l’astrologia. Come ha dimostrato l’astrologo Dom Néroman (1884-1953), è possibile che la disposizione della settimana planetaria abbia codificato simbolicamente l’ordine delle rivoluzioni siderali dei pianeti, ed il numero atomico dei loro metalli associati. [20] In effetti possiamo dedurre dalla serie circolare o eptagramma (Saturno, Sole, Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere), altre due serie, e solo due: una iniziando dalla Luna e saltando ogni volta un pianeta (come nel gioco del salto della Pidola), l’altra assumendo Marte come il punto di partenza e saltando due pianeti. La prima serie (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno) illustra l’ordine delle rivoluzioni siderali planetarie, conosciute dopo molto tempo in Mesopotamia [21] , la seconda (Marte, Venere, Luna, Giove, Sole, Mercurio, Saturno) l’ordine dei numeri atomici dei “metalli planetari”: ferro (26), rame (29), argento (47), stagno (50), oro (79), mercurio (80), Piombo (82). C’è da segnalare che anche i metalli planetari hanno una conduttività termica decrescente (o una resistenza crescente) a partire dall’argento per arrivare al piombo (salvo per il mercurio che è liquido), cioè, secondo l’ordine delle rivoluzioni siderali dei metalli associati a questi pianeti. Di conseguenza è molto probabile che la settimana planetaria sia servita ai saggi babilonesi per codificare le conoscenze sulla chimica dei 7 metalli conosciuti nel Mediterraneo nell’antichità, salvo per un ottavo metallo, lo zinco, che non è stato utilizzato nel dispositivo. Ciò che notiamo nella scelta di questi metalli, e tenendo presente il quadro (stabilito nel 1869 e completato più tardi) di Dimitri Mendeleïev, saggio dal temperamento matricial, se ci sono, sono le relazioni trai metalli planetari, lasciando da parte il mercurio, metallo al quale gli harraniani avevano evitato di associarlo al pianeta neutro dell’astrologia greca. Così, i numeri atomici dei metalli planetari verificano i seguenti rapporti: rame 29 (Venere) = ferro 26 (Marte) + 3, stagno 50 (Giove) = argento 47 (Luna) +3, Piombo 82 (Sarturno) = Oro 79 (Sole) +3 Ammettendo che si attribuisca il mercurio a Mercurio, e seguendo questa logica, si può attribuire lo zinco, metallo dai riflessi azzurri e l’unico altro metallo conosciuto nell’antichità, a Urano, il primo pianeta trans-saturniano, e, tra gli altri metalli scoperti più avanti (l’antimonio nel XV secolo, il platino, il nichel, il bismuto, il cobalto ed il tungsteno verso la metà del XVIII secolo), il cobalto a Nettuno ed il bismuto a Plutone, in ragione della conservazione della relazione trai numeri atomici. [22] Così, zinco 30 (Urano) = Cobalto 27 (Nettuno) +3, e Bismuto 83 (Plutone) = Mercurio 79 (Mercurio) + 3.
Quadro
dei metalli ed i colori planetari
L’esame dei numeri atomici dei metalli (o dei loro planeti associati) ci permette di estrarre i seguenti rapporti (togliendo 20 delle 45 coppie planetarie): Luna +
Saturno = Sole + Giove Mercurio
+ Urano = Nettuno + Plutone Luna +
Urano = Giove + Nettuno Queste relazioni derivano dalla banda « circolare » che segue, nella quale i pianeti con i loro metalli associati vengono posti nella loro successione cromatica, i pianeti di apertura sopra (colori caldi) ed i pianeti finali sotto (colori freddi):
cromatica, i pianeti di apertura sopra (colori caldi) ed i pianeti finali sotto (colori freddi): Prendendo questa figura come un cilindro che si piega e si chiude su se stesso ai suoi estremi Mercurio-Plutone e Nettuno-Urano, vediamo che le coppie planetarie si organizzano in diagonale: Plutone-Sole, Saturno-Giove, Luna-Marte, Venere-Nettuno, e la coppia Mercurio-Urano che chiude il cilindro. Abbiamo anche: Marte+Nettuno = (Luna + Venere + Urano) / 2 = (Marte + Giove + Urano) / 2 = (Sole + Mercurio / 3 = (Luna + Saturno + Plutone) / 4 = 53 Detto in un’altra forma, due relazioni armoniche uniscono i numeri atomici dei metalli planetari, una delle quali trai pianeti di eccitazione o di apertura (con l’eccezione di Giove), l’altra trai pianeti di inibizione o di chiusura: Sole + Mercurio = 3 Marte + 3 Nettuno, e Saturno + Plutone = Luna + 2 Venere + 2 Urano. Non so se le diverse osservazioni presentate in questo testo possono rappresentare un interesse per gli astrologi, ed aspettando che venga realizzato un studio statistico sui colori scelti dai pittori, saluto i gioiellieri e gli auguro che facciano buoni affari. [1]
Conversations de Goethe avec Eckermann [intervista del 19 febbraio
1829], tr. fr. Jean Chuzeville (1930), Paris, Gallimard 1949; 1988, p.285.
« Testo [2]
Goethe intitola le Memorie: Verità e Poesía. «
Testo [3]
Conversations de Goethe avec Eckermann, op. cit., p.176. «
Testo [4]
Ibid., p.284. «
Testo [5]
Cf. "Vues générales internes", in Traité des Couleurs,
tr. fr. Henriette Bideau, Paris, Triades, 1973. L’opera contiene
la prefazione di Rudolf Steiner, del quale si può leggere l’eccellente
opera scritta con “lo spirito” del suo predecessore:
La science de l'occulte, tr. fr. H.
& R. Waddington, Paris, Triades, 1976. «
Teso [6]
Sulla storia dei colori, la teoria di Goethe, e sulla distinzione tra
colori fisiologici, fisici e chimici, cf. Anche l’articolo di Manlio
Brusatin, "Colori (storia dell’arte)":
"Un’opposizione radicale, di natura non scientifica, nell’ottica
di Newton si manifesta con l’apparizione della Teoria dei colori (Farbenlehre,
1810). In quest’opera, Goethe si oppone deliberatamente al carattere
primario della luce bianca ed al carattere secondario delle sensazioni
cromatiche. Negandogli una natura astratta, di fatto manifesta il suo
interesse per la ricostruzione di una fisiologia della visione, la quale
passa dalla soggettività partecipante di chi percepisce e
l’apprezzamento dei colori fisici confrontati con i nuovi colori
chimici. Per riassumere le posizioni di Goethe, si può dire che lui
avrebbe voluto stabilire un fondamento dialettico per la “forma” della
percezione dei colori, prima di contestare la pretesa unità del bianco
newtoniano. Dato che il colore è indifferentemente legato alla luce ed
all’oscurità (il chiaro, bianco, lo scuro, nero), è la sua miscela, il
grigio, che riassume e fonde in se stesso tutti gli altri colori. Goethe
spiegherà che i colori possono essere fisiologici: si tratta di
colori soggettivi, il cui unico intermediario è il soggetto che li
percepisce; fisici: colori soggettivi o oggettivi di intensità
variabile e passeggera, che si ottiene per interposizione di corpi
trasparenti o traslucidi; chimici: solo colori oggettivi, si
fissano su corpi e sostanze di diversa natura o sono estratti da loro. "
(in Encyclopaedia
Universalis, vol. 6, 1997). «
Testo [7]
Cf. Il corso del 19 Maggio 1981 che Gilles Deleuze, a Saint-Denis, consacrò
questa questione. Probabilmente trascriverò questo corso sul sito web del
C.U.R.A., dato che ho già formato parte dei dibattiti. «
Testo [8]
Brent Berlin & Paul Kay, Basic color terms: Their universality and
evolution, Berkeley, University of California Press, 1969; 1991, p.2. «
Testo [9]
Ibid., p.3. [9bis] Nota del Luglio 2001: Graham Douglas attrasse la
mia attenzione sui suoi articoli che parlano sulla distribuzione
strutturale dei colori: Greimas's semiotic square and Greek and Roman
astrology (in Semiotica, 114.1/2, 1997), Color-term
connotations, planetary personalities, and Greimas's square (in Semiotica,
115.3/4, 1997), Why is Venus Green? - A morphological approach to
Astrology (in Correlation, 18.1, 1999), Catastrophes in
semantic space: Signs of universality (in Semiotica, 132.3/4,
2000). Anche se la sua organizzazione quadripartite dei colori non
sia la mia, il complesso di questa riflessione, ottenuta principalmente
dall’analisi comparativa delle culture, è degna di interesse, In Correlation,
Douglas definisce perfettamente per la ricerca questa terza via/voce che
io previdi dopo l’apertura del C.U.R.A.: "We can also identify a
new approach to astrological research, based in anthropology, history and
cultural studies, which cannot be easily assigned to either side of the
divide between objective-physical-scientific research into natural
astrology versus subjective interpretation of charts by astrologers,
or judicial astrology." (p.16)
Ugualmente Christopher Bagley, nello stesso numero: "My final
conclusion is to emphasise, once again, that astrological research and
counselling must be integrated within the mainstream social and
psychological sciences, in the fullest understanding of human motivation
and behaviour." (p.38). L’articolo di Douglas ci fornisce d’altra
parte alcune preziosi riferimenti bibliografici, trai quail: Marshall
Sahlins, "Colors and Cultures" in Symbolic
Anthropology, J.L. Dolgin, D.S. Kemnitzer & D.M. Schneider (eds.),
New York, Columbia University Press, 1977; Paul Kay & Charles
MacDaniel, "The linguistic meaning of basic color terms"
in Language, 54, 1978; y Robert MacLaury, "From Brightness
to Hue: An explanatory model of color-category evolution" in Current
anthropology, 33 (2), 1992. «
Testo [10]
Cf. Mio schema del planetario (08taiki.gif), in El Planetario, http://cura.free.fr/esp/13planet.html,
10-2000. « Testo
[11]
Cf. il trattato Della natura dell’uomo (di prima del 400 a.C.),
attribuito dai greci a Ippocrate o al suo genero Polybe, e la sua analisi
da Raymond Klibansky, Erwin Panofsky & Fritz Saxl: Saturne et la
melancolie, London, 1964, tr. fr., Paris, Gallimard, 1989. «
Testo [12]
Cf. Patrice Guinard, Il Planetario, http://cura.free.fr/esp/13planet.html,
10-2000. «
Testo [13]
Jean Mavéric, La lumière astrale (Traité synthétique d'astrologie
judiciaire), Paris, Daragon, 1910; Nice, Belisane, 1979, p.21. Su
questo autore, cf. Jacques Halbronn (collaborazione di Patrick Curry e
Nicholas Campion), La vie astrologique il y a cent ans (d'Alan Leo à
F. Ch. Barlet), Paris, La Grande Conjonction / Trédaniel, 1992,
p.76-79. «
Testo [14]
Fred Gettings, The Arkana dictionary of astrology, London,
Routledge & Kegan Paul, 1985; éd. rév., London, Arkana, 1990,
p.378-379. «
Testo [15]
Cf. Françoise Gauquelin, "Jupiter's real nature" (capítulo
10), in Psychology of the planets, San Diego (Calif.), ACS
Publications, 1982, p.61-64. «
Testo [16]
Cf. Rumen Kolev, Some Reflections about Babylonian Astrology, http://cura.free.fr/decem/09kolev.html,
11-2000. «
Testo [17]
Cf. D. Chwolsohn, Die Ssabier und der Ssabismus, St Petersburg,
1856, vol. 2, p.382-398, e Michael Baigent, From the omens of Babylon,
London, Arkana - Penguin, 1994, p.186-187. «
Testo [18]
Cf. Franz Cumont, Astrology and religion among the Greeks and Romans,
trad. angl., 1912; New York, Dover, 1960. Sarebbe di origine ebrea secondo
S. Gandz ("The origin of the planetary week", in
Proceedings of the American Academy for Jewish Research, 18, 1949). «
Testo [19]
Cf. Françoise Gauquelin, "The Greek error or return to Babylon"
in Astro-Psychological Problems, 3.3, 1985. «
Testo [20]
Cf. Dom Néroman, Grandeur et pitié de l'astrologie, Paris, Sorlot,
1940, p.39-47. «
Testo [21]
Gli astronomi babilonesi elaborano relazioni di osservazione astronomica a
partire dal 700 a.c., e possedevano già in quest’epoca un’ottima
conoscenza delle orbite e dei cicli planetari (cf. Bartel van der Waerden,
"Babylonian astronomy", in Journal of Near Eastern
Studies, 8, 1949, e Abraham Sachs & Hermann Hunger, Astronomical
diaries and related texts from Babylonia, Wien, 1988, vol. 1). «
Testo [22] Étienne Guillé punta sull’attributo moderno dello Zinco ad Urano, del Cobalto a Plutone e del Manganese a Nettuno (in L'alchimie de la vie (Biologie et tradition), Monaco, Le Rocher, 1983, p.70. « Testo Trad. di Riccardo Sottani - Tutti i diritti riservati |