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Laffaire Dreyfus: la nascita
della Grafologia giudiziaria
Come
tutte le mattine, il 26 settembre 1894, madame Bastian, domestica nell'ambasciata tedesca
a Parigi, svuotava il cestino della carta straccia dell'addetto militare, colonnello Von
Schwartzkopfen; un lavoro che la donna doveva fare ben volentieri considerati i 250
franchi che il servizio segreto francese le pagava ogni mese per ottenere quei fogli. Fu
così che sotto gli occhi del comandante Henry, del controspionaggio francese, arrivarono
i frammenti di una lettera inviata a Von Schwartzkopfen da un anonimo ufficiale francese
che rivelava una serie di segreti militari. Una settimana dopo due grafologi dilettanti,
Paty De Clam e il colonnello D'Aboville, incaricati dal Ministero della Guerra di scoprire
lautore della missiva, pressati dallo Stato Maggiore, puntano il dito su un capitano
di artiglieria, già inviso alle gerarchie militari per il suo pessimo carattere ma,
soprattutto, per essere ebreo: Alfred Dreyfus.
Per ben dodici anni laffaire Dreyfus ha
infiammato lopinione pubblica e solo nel 1906, scagionato da una super perizia
statistico-grafologica, affidata allillustre matematico Henri Poincaré,
Alfred Dreyfus fu scarcerato dallIsola del Diavolo, nella Guyana francese,
reintegrato nell'esercito e insignito della Legion d'onore. Colui che aveva scritto la
lettera - un ufficiale squattrinato, tale Paul Esterhazy nonostante fosse reo
confesso non pagò mai le sue colpe e così le gerarchie militari che avevano orchestrato
la campagna diffamatoria contro il capitano. Laffaire Dreyfus è stata
certamente una delle pagine più nere della storia giudiziaria, ma, almeno, è servito a
gettare le basi scientifiche della Grafologia giudiziaria.
Fino ad allora, infatti, laccertamento dellautenticità di scritture,
una disciplina nata in Italia nel Cinquecento, era stata svolta da copisti e calligrafi
che si limitavano, per lo più, a comparare le singole lettere. In Francia
Crépieux-Jamin, perito di parte di Dreyfus, rifiuta questo metodo (I modi che si
riferiscono a come sono scritte le singole lettere dell'alfabeto e alla punteggiatura,
sono di per se privi di importanza e significativi solo se ripetuti.) e concentra la
sua attenzione su sette caratteristiche della scrittura: pressione, forma, dimensione,
continuità, direzione, velocità, impostazione. Nasce così una chiave di lettura per
analizzare e comparare le scritture e la Grafologia cessa di essere
unimperscrutabile arte per divenire una disciplina scientifica.
Per un approfondimento del caso Drefyus riportiamo qui di seguito
larticolo di Renato Perrella A cento anni dall'affaire: la vera storia del
caso Dreyfus e deduzioni peritali, pubblicato sul n. 84/1989 della rivista
Scrittura che ringraziamo per la
gentile concessione
A cento anni dall'affaire: la vera
storia del caso Dreyfus e deduzioni peritali
di Renato Perrella
pubblicato sul n.
84/1989 della rivista Scrittura
I.
Premessa
Il caso Dreyfus è famoso,
ma questo non significa che sia conosciuto. Anzi, sono convinto che fra gli stessi addetti
ai lavori, cioè i periti grafici, è solo un nome, che ricorda un poliziotto, Bertillon,
e il suo errore. Non molti sanno molto di più. Si dirà: famoso, ma lontano e superato.
E allora, perché ritornare sul caso? Perché è un caso eccezionale per l'importanza e la
drammaticità del processo, per la qualità e il numero dei periti, perché è un caso
eccezionalmente ricco di insegnamenti, perché infine è un caso ancora attuale.
Il caso Dreyfus infatti
potrebbe ripetersi oggi e, sia pure per processi meno celebri, si ripete quotidianamente.
Un solo esempio. celebre: i diari di Hitler. Perfino Ordway Milton, il numero uno dei
periti degli Stati Uniti si era dichiarato disposto a giurare che i diari erano autentici.
Si è visto poi quale fondamento avesse la certezza di questo illustre perito. Il caso è
estremamente complesso e lungo. Durò dal 1894 al 1906 (12 anni) e si snodò attraverso
una serie di processi, di revisioni di processi, di processi dentro i processi (Zola,
Picquart), di perizie, di controperizie, di chiarimenti e di superperizie, di avvenimenti
politici e di avvicendamenti burocratici. Non posso quindi che farne una sintesi. Del
resto io stesso non ho potuto approfondire molti particolari e ci possono essere
imprecisioni e lacune nella mia esposizione.
Non ho intenzione di sfondare porte aperte, di provare cioè che lo scritto in
verifica era un falso ed un falso commesso da Esterhazy. Si tratta di un dato storico
ormai pacificamente acquisito. Naturalmente, l'aspetto tecnico della questione dovrà pure
essere accennato, per chiarezza e completezza. Ma non per provare il già provato. Del
resto l'esame delle diversità tra la grafia di Dreyfus e quella del bordereau, come pure
quello correlativo della uguaglianza fra la grafia di Esterhazy e quella del bordereau
riempirebbero da soli una intera relazione. Relazione, dopo tutto, di scarso interesse,
perché tecnicamente il caso è banale. La uguaglianza tra la grafia di Esterhazy e quella
del bordereau è di solare evidenza. Sono invece le cause dell'errore che interessa
mettere in luce, come pure le lezioni che se ne possono dedurre. Ecco perché, dopo una
premessa storica, focalizzerò su queste la nostra attenzione.
2.
Prima fase: 1894-1895
Com'è
nato il caso Dreyfus? Siamo nel 1894. A provocare la scintilla che infiammò la Francia
degli anni spensierati fu una domestica analfabeta, madame Bastian, che sbrigava bassi
servizi presso l'ambasciata tedesca a Parigi. I bassi servizi li sbrigava solo per i
tedeschi; ai francesi rendeva molto più in utilità, frugando nel cestino della carta
straccia dell'addetto militare, colonnello Von Schwartzkopfen. Per 250 franchi al mese
ella passava alla polizia ogni brandello di foglio che il colonnello appallottava e
gettava nel cestino. Il predetto colonnello praticava lo spionaggio in modo ingenuo, visto
che non distruggeva i messaggi segretissimi ricevuti (e ben pagati) dagli informatori
francesi. Talora, addirittura, dopo averli fatti ricopiare, li mandava, così com'erano,
al collega italiano, colonnello Panizzardi, anche lui preoccupato di scoprire i segreti
bellici dell'armata di Parigi. Il 26 settembre 1894 madame Bastian raccolse nello studio
di von Schwartzkopfen e consegnò al comandante Henry, dello spionaggio francese, i
frammenti di una lettera scritta da un ufficiale francese, che comunicava ai tedeschi
(cioè al nemico che vent'anni prima s'era mangiato l'Alsazia e la Lorena e aveva sfilato
orgoglioso per Parigi) una serie di informazioni. Informazioni non eccezionali:
riguardavano un nuovo freno idraulico, le modifiche apportate dallo Stato Maggiore
all'organizzazione delle truppe di copertura, una nota sul Madagascar. Era in sostanza una
lettera contenente un elenco (il famoso "bordereau"). Henry si spaventa. Passa
la lettera al ministro della Guerra, generale Mercier, che avverte immediatamente il
presidente della Repubblica, Casimir Perrier, e il presidente del Consiglio, Charles
Dupuy. Si riunisce il consiglio ristretto: l'affare esplode nelle alte gerarchie dello
Stato.
Quando
il bordereau cominciò a circolare negli uffici dello Stato Maggiore, vi furono due
grafologi dilettanti, Paty De Clam e il colonnello D'Aboville che si orientarono verso la
grafia dell'ufficiale di artiglieria, capitano Alfred Dreyfus. Dreyfus era in un certo
senso un predestinato ad essere sospettato. Sgobbone, introverso, freddo, scostante,
intelligente, emergente, alsaziano e, per giunta, ebreo. Dal sospetto per motivi
estragrafici al sospetto per motivi grafici il passo era breve. Ma, ciononostante, era
chiaro che i sospetti dei due ufficiali, dilettanti grafologi, non bastavano. Il generale
Mercier, ministro della Guerra, si rivolse allora al ministro guardasigilli e gli chiese
il nome di un perito. Questo indicò Gobert, perito della Banca di Francia. Gobert
accertò che: 1) il bordereau era rapido e spontaneo, 2) vi erano uguaglianze con la
grafia di Dreyfus nei caratteri generali, vi erano anche uguaglianze nei particolari, ma
vi erano anche diversità numerose ed importanti. Gobert concluse quindi che il
"bordereau sembrava essere di persona diversa da quella sospettata". Putroppo fu
egli stesso a chiedere, per agevolare il suo lavoro, che gli ingrandimenti fotografici
fossero fatti presso il Servizio d'identità Giudiziaria, cioè nel laboratorio della
prefettura di polizia, che allora era diretto da Alfonso Bertillon. Fu così che Bertillon
entrò nel caso Dreyfus. Insoddisfatto dalla conclusione espressa dal Gobert, il generale
Mercier volle andare in fondo. Allora il generale Gonse, che aveva ricevuto dal Bertillon
gli ingrandimenti fotografici, tornò da questi e gli chiese una perizia grafica.
2.1. Alfonso Bertillon e la antropometria
Chi
era Bertillon? Era figlio di un medico. Entrato come protocollista alla prefettura di
polizia, si interessava alla identificazione dei criminali, che allora era empirica,
grossolana e si prestava a frodi e corruzioni. Egli ebbe l'iniziativa e il coraggio di
applicare all'identificazione degli imputati i criteri dell'antropometria, che è la
misurazione di certe variabili del corpo: testa (lunghezza e larghezza), diametro
bizigomatico, piedi, dita, etc. Era in sostanza la applicazione alla criminalistica della
metodologia etnologica del Quetelet, integrata dal ritratto parlato, inventato dal
Bertillon stesso, che è una descrizione analitica dei tratti somatici e delle
peculiarità (i cosiddetti "contrassegni", quali nei, cicatrici, angiomi, etc.).
Tutto
preso dalla sua scoperta antropometrica, Bertillon guardò con diffidenza al successivo
emergere della identificazione basata sulle impronte delle dita, cioè della
dattiloscopia, in cui vide non già, come doveva, un progresso della scienza, ma, con
cieca faziosità, una pericolosa concorrente della sua antropometria. Combatté quindi la
dattiloscopia finché visse, anche se storici male informati hanno fatto di lui uno dei
fondatori della dattiloscopia. E torniamo al caso Dreyfus. Bertillon aveva fondato, nella
prefettura di polizia, il Servizio d'Identità Giudiziaria. Naturalmente questo servizio,
dotato di un laboratorio tecnicamente avanzato, era divenuto, per gli ambienti giudiziari
e criminalisti, centro di attrazione e di consultazione. Quanto alla perizia grafica,
Bertillon aveva scritto che si trattava di cosa irrazionale, che non era argomento di
scienza e che egli non vi credeva.
Al
momento in cui Gobert ricorse a lui, Bertillon non era ancora un perito grafico. Egli si
limitava a fotografare documenti per uso poliziesco o giudiziario e ad ingrandirli per
rendere più facile il loro esame. E fu per gli ingrandimenti che Gobert, come si è
detto, si rivolse a Bertillon. Nonostante - si noti - non avesse mai fatto una perizia
grafica in vita sua, nonostante il proclamato scetticismo, avuto l'incarico di eseguire la
perizia, Bertillon l'accettò. Improvvisando tutto, fermò la sua attenzione sull'esame
dei caratteri intrinseci del bordereau piuttosto che sul confronto tra la grafia di
Dreyfus e quella del bordereau. E fu un errore fatale. La sua prima conclusione, tuttavia,
fu cauta. Nonostante la suggestione dello Stato Maggiore che gli insinuò esserci prove
schiaccianti contro Dreyfus. Egli concluse col dire: "Se si scarta l'ipotesi di un
documento falsificato con la più grande diligenza, appare manifesto per noi che è la
stessa persona che ha scritto tutti i documenti di comparazione e quello
incriminato".
2.2. L"'autofalsificazione" e la condanna di Dreyfus
Fu
solo successivamente che egli maturò l'ipotesi della "autofalsificazione", che
divenne il cardine della sua teoria. Poiché il termine "autofalsificazione" è
noto solo agli iniziati, è bene accennare una spiegazione. Facciamo un esempio: l'autore
di un anonimo scrive con la sua grafia, ma alterando lievemente il suo grafismo,
intercalandolo con ritocchi, incertezze, etc. cioè con difetti propri dell'artificio
imitativo, al fine di poter poi dire, se sospettato, che si tratta di imitazione della sua
scrittura. Questo sarebbe un caso tipico di autofalsificazione. Nonostante il fanatico
entusiasmo del Bertillon per questa sua scoperta la sua teoria è di scarso valore
pratico. È chiaro infatti che l'autore di un anonimo preferisce dissimularsi più che
può, piuttosto che scrivere con la propria grafia, salvo piccoli ritocchi e piccole
diversità. Se non è un temerario folle, non ricorre alla metodologia, troppo
machiavellica e soprattutto troppo pericolosa per essere realistica,
dell'autofalsificazione.
Tuttavia
Bertillon si innamorò di questa sua scoperta, così come si era innamorato della sua
identificazione antropometrica. Per assecondare le sue fantasie adattò il bordereau alle
sue conclusioni, trattando e manipolando il documento primitivo sulle tavole fotografiche,
cosicché il bordereau, malamente ricostituito a mosaico (era stato trovato a pezzetti) ne
risultò alterato, ingrandito, impicciolito, ritoccato, ricalcato, ritagliato, incollato e
truccato, ad uso e consumo della teoria dell'autofalsificazione.
Sulla
base di questo pateracchio venne fuori la famigerata esposizione che il Bertillon
sviluppò nelle udienze del primo processo, in cui, farneticando sulla diabolica abilità
del Dreyfus, capitano di artiglieria, elaborò, o meglio inventò, la teoria di un Dreyfus
attento a difendersi da tiri da destra ma anche da tiri da sinistra. rinchiuso in una
fortezza ideale, munito di un arsenale di munizioni, che sarebbero stati poi i suoi
trucchi grafici, pronto ai tiri di batteria e di controbatteria, accorto elaboratore di
misure, di multipli e di sottomultipli, geniale difensore della sua cittadella, ma,
purtroppo per Dreyfus, caduto alla fine sotto gli artigli di un genio più geniale di lui,
cioè di Bertillon, che aveva scoperto e la strategia di Dreyfus e i suoi codici segreti.
Ne
venne fuori alla fine una esposizione genialmente folle, che fu ascoltata con stupore dai
giudici del primo processo, i quali non ci capirono nulla, ma si convinsero che, alla
fine, questo Bertillon doveva essere un grand'uomo e che Dreyfus doveva essere un furbo
matricolato. Ma torniamo indietro.
Al
parere del Bertillon, prima della celebrazione del processo, fu deciso di affiancare altri
pareri, di altri periti. Questi furono: Pelletier, Charavay e Theyssonieres. Pelletier.
redattore al Ministero delle Belle Arti, terzo perito, rifiutò l'offerta non certo
disinteressata di "aiuto" fattagli dal Bertillon. Trovò che il bordereau non
era dissimulato. Concluse che le diversità superavano le uguaglianze. Charavay, quarto
perito, commerciante di autografi accettò di essere aiutato" da Bertillon,
fece una perizia "logica". Il bordereau, egli ragionò, era segreto e
pericoloso: dunque doveva essere dissimulato. In conseguenza: le uguaglianze contavano e
le diversità no. Come se, obiettiamo noi, la dissimulazione, posto che esista, possa
creare uguaglianze che non ci sono e annullare le diversità che ci sono, se sono
sostanziali. Concluse per la colpevolezza di Dreyfus. Teyssonieres, quinto perito,
incisore, anch'egli accettò di essere "aiutato" da Bertillon. Fece una perizia
"calligrafica". Non si occupò di caratteri generali. Si fermò su pretese
sovrapponibilità parziali e approssimative, per sostenere il ricalco. Concluse per la
colpevolezza di Dreyfus.
Su
quest'ultimo perito conviene soffermarsi un attimo. Teyssonieres era un perito che fu poi
radiato dal Tribunale della Senna per gravi fatti morali, trasmise clandestinamente ai
giornali ostili a Dreyfus la copia del bordereau, fu condannato successivamente (nel 1901)
per il delitto di falsa perizia, fu radiato dall'albo dei periti della C.A. di Parigi nel
1901. A proposito dell'aiuto offerto e fornito dal Bertillon agli altri periti, va
rilevato che furono gli stessi giudici militari che proposero a Pelletier, Charavay e
Teyssonieres di farsi aiutare dal "precedente perito".
Quale
precedente perito, visto che i precedenti periti erano due? Non Gobert, guarda caso, che
aveva concluso per l'estraneità di Dreyfus, ma Bertillon, che era per la colpevolezza.
Riassumendo: Gobert e Pelletier rifiutarono l'attribuzione. Bertillon, Charavay e
Teyssonieres furono contro Dreyfus. Il processo fu celebrato presso il Consiglio di Guerra
di Parigi e si svolse a porte chiuse. Il generale Mercier passò sottobanco ai giudici un
dossier segreto a carico di Dreyfus e i giudici l'accettarono, nonostante la patente
illegalità del fatto, che privava la difesa dei suoi fondamentali diritti. L'avvocato
difensore Demange non si dimostrò all'altezza della situazione.
All'unanimità,
nel dicembre 1894, i sette giudici dichiararono Dreyfus colpevole e lo condannarono alla
degradazione e alla deportazione a vita in fortezza. L'appello fu rigettato. Nel 1895
Dreyfus fu degradato nel quadro di una cerimonia solenne e agghiacciante e condotto
all'Isola del diavolo, presso la costa della Guyana francese.
3. La fase intermedia (1896-98)
Nel
1896 inizia la fase intermedia, forse la più intricata e convulsa. Dopo il rigetto
dell'appello, lo Stato Maggiore, soddisfatto, si illudeva che il caso Dreyfus fosse
sepolto per sempre. Ma non era così. Il fratello Mathieu, la moglie Lucie e, lentamente,
un cerchio sempre più largo di intellettuali, prendono a cuore il problema, vogliono
penetrare il mistero di una condanna sommariamente sbrigativa. In più c'è il comandante
Henry che, nel tentativo di migliorare la situazione, la peggiora, nel senso che, cercando
di accumulare altre prove a carico di Dreyfus, per mettere a tacere i sospetti, finisce
col farli invece ingigantire. Egli tende a mettere nel sacco anche il suo nuovo superiore,
colonnello Picquart, che non accetta gli slogan a occhi chiusi. Picquart mette le mani su
una lettera straordinaria: la solita madame Bastian l'ha pescata nel cestino del solito
von Schwartzkopfen. E un elenco di cose futili (ma di importanza militare) che un
ufficiale francese - un certo Esterhazy - invia all'addetto germanico. Sul momento
Picquart pensa di trovarsi di fronte a un nuovo caso di spionaggio, ma, fattosi consegnare
dal ministero della Guerra l'incartamento che riguardava i precedenti casi di notizie
filtrate attraverso la ambasciata di Berlino (quindi anche la lettera attribuita al
Dreyfus, si accorge, con sorpresa, che il bordereau, che costituiva il capo d'accusa
contro il capitano finito all'isola del diavolo, rivelava la stessa calligrafia della
lettera di Esterhazy. Comunicò la scoperta al vice capo di Stato Maggiore, ma si sentì
rispondere: "Lascia perdere, l'affare è chiuso". Poco dopo, vedendolo
tormentato da dubbi, i suoi superiori lo trasferirono in Tunisia.
Temendo
di sparire per avere messo il naso in un segreto tanto bruciante (e per averne fatto cenno
a un giornalista dell'Eclair), Picquart lasciò un dossier al suo avvocato che, un anno
dopo, lo avrebbe mostrato al vice presidente del senato, Scheurer-Kestner. Vincolato dal
segreto (l'avvocato aveva mostrato all'uomo politico il dossier di Picquart facendosi
promettere che mai sarebbe stato reso pubblico), Scheurer fece in modo che alcuni
documenti del processo, tra cui il famoso bordereau trovato nel cestino da madame Bastian,
venissero pubblicati dai giornali. Fu così che un banchiere, leggendo i giornali, notò
che la scrittura del bordereau, somigliava moltissimo a quella di un suo cliente
"difficile", un ufficiale scioperato, che viveva spendendo più denaro di quanto
guadagnasse. Il cliente era il maggiore Esterhazy. Il banchiere allora chiamò Mathieu
Dreyfus, fratello del condannato, e gli mostrò i documenti che gli avevano insinuato il
sospetto. Cominciò così la seconda parte dell'affare. Un coraggioso giornalista, Bernard
Lazare, pubblicò a questo punto un articolo intitolato: "Un errore giudiziario: il
caso Dreyfus".
Sulla
base della riproduzione del bordereau, pubblicata sul giornale Le Matin, il fratello di
Dreyfus si rivolse ai migliori periti internazionali del momento, per fare eseguire il
confronto con la grafia di Dreyfus. Furono interpellati dodici periti, francesi, svizzeri,
inglesi, belgi, americani, tedeschi, tra cui Crépieux-Jamin, De Rougemont, Preyer.
L'utilizzazione di una riproduzione, eseguita per di più su un testo malamente
ricostituito dopo tutte le lacerazioni subite, creò difficoltà, anche per i periti di
parte, rendendo il testo sospetto. Difficoltà tuttavia superate qualche mese dopo, quando
venne fuori la scrittura di Esterhazy, e ancor meglio dopo, in occasione del processo
Zola, quando fu possibile vedere l'originale del bordereau. Comunque i dodici esperti
conclusero che il bordereau, spontaneo o artefatto che fosse, non era di Dreyfus e quello
era il punto essenziale. Poi, venuta fuori la scrittura di Esterhazy, alcuni fra i dodici
periti di parte, di fronte al fatto nuovo, ritrattarono la loro precedente ipotesi che si
trattasse di un falso imitativo della grafia di Dreyfus.
Tra
questi dodici periti di parte spicca la figura di Crépieux-Jamin, medico e grafologo
insigne. Jamin fece una perizia favorevole a Dreyfus e fu un atto quasi eroico. L'opinione
pubblica era aizzata contro l"'ebreo traditore". La casa del perito fu
maledetta, i suoi amici gli tolsero il saluto, la sua clientela lo abbandonò. A questo
punto il fratello di Dreyfus, Mathieu, denunziò pubblicamente Esterhazy di essere
l'autore del bordereau. Esterhazy reagì chiedendo un'inchiesta. Si reperirono, presso una
signora, lettere di Esterhazy che dimostravano il suo disprezzo e odio verso i francesi
(Esterhazy era di origine ungherese). Esterhazy venne rinviato davanti al Consiglio di
Guerra di Parigi. Tre periti, Couard, Varinard e Balhomme, furono incaricati del confronto
tra la grafia di Esterhazy e quella del bordereau. E qui accadde l'incredibile. Nonostante
la solare evidenza del caso, i tre periti dichiararono che il bordereau non era di
Esterhazy! La vera ragione di questo inspiegabile equivoco si seppe poi: fu la pressione
che lo Stato Maggiore esercitò sui periti, a favore di Esterhazy. A seguito delle
ripetute pressioni, infatti, i periti conclusero: il bordereau è una maldestra imitazione
della grafia di Esterhazy, ma non è di Esterhazy. Lo stesso Esterhazy spiegò che il
parere era dovuto al "patriottismo" dei periti. Senza commento.
Chiamati
successivamente a chiarimenti davanti alla Corte di Cassazione, quando ormai le prove a
carico di Esterhazy erano schiaccianti, i periti si giustificarono dicendo che essi si
erano affidati al loro colpo d'occhio e che il loro giudizio sul bordereau era
sostanzialmente uguale a quello dell'autorevole Bertillon. Disse Couard: "Mi farei
tagliare la testa piuttosto che ammettere che il bordereau è scritto da Esterhazy".
Conclusione: Esterhazy venne assolto all'unanimità, anche se poi venne radiato
dall'esercito e si rifugiò in Inghilterra. Nel gennaio del 1898 Emile Zola, noto
romanziere, nato in Francia da padre italiano e madre francese, pubblicò la famosa
lettera aperta intitolata "J'accuse" sul giornale L'Aurore. Egli protestò
violentemente contro quelli che osavano mantenere ai lavori forzati l'innocente Dreyfus e
coprire il vero traditore. Per questo, Zola fu incriminato, processato e condannato!
Nel
1898 il maggiore Herny, che è la più losca figura, forse, della vicenda, acerrimo nemico
di Dreyfus e della verità, protettore di Esterhazy e confezionatore di falsi, confessò i
suoi falsi e si uccise Venne intanto ad intrecciarsi con la vicenda principale la figura
erolica di una vittima, cioè del colonnello Picquart, perseguitato dallo Stato Maggiore,
perché aveva scoperto l'innocenza di Dreyfus e la colpevolezza di Esterhazy e perché
voleva che la verità fosse ufficialmente riconosciuta.
Isterismi
di massa con accessi di patriottismo e rigurgiti di antisemitismo caratterizzarono questo
periodo Anche da parte cattolica si gridò contro Dreyfus Lo fece la Civiltà Cattolica,
lo fece il cardinale Rampolla Segretario di Stato del Vaticano contrario alla revisione
del processo. Gli ebrei stessi. per paura. cercarono di passare inosservati e si tennero
lontani dai difensori di Dreyfus Arrivarono anzi a biasimare quelli che volevano la
revisione del processo Dreyfus. Antiche e ricorrenti paure degli ebrei. spiegabili con
antiche e persistenti persecuzioni. Da tutto questo caos, tuttavia, venne fuori
chiaramente che il caso Dreyfus era stato truccato Il dossier segreto, passato ai Giudici
ma non alla difesa. il coraggioso atteggiamento del colonnello Picquart, la confessione
dei falsi di Herny, le dodici perizie di partì favorevoli a Dreyfus, la evidente
uguaglianza tra la grafia di Esterhazy e quella del bordereau non potevano non lasciare il
segno Fu per questi che la Corte di Cassazione. nell'ottobre dichiarò ammissibile il
ricorso avanzato dalla moglie di Drefyus per la revisione del processo
4
Terza fase: il processo di revisione di Rennes 1899-1900)
Nel
1899 Dreyfus fu rinviato davanti al Consiglio di Guerra di Rennes per la revisione del
processo Purtroppo si trattava. ancora una volta, di un tribunale militare, con tutti i
rischi che questo comportava. Nel 1899 furono nominati tre periti Meyer. Molinier, Giry
(professori alla Scuola di Paleografia ''Ecole des Chartes") conclusero
all'unanimità che il bordereau era di Esterhazy Ma ciò non servi a nulla, come non
servì a nulla la stessa confessione di Esterhazy di avere scritto il bordereau, né la
prova che nel dossier segreto i documenti erano falsi Altri falsi documenti erano
frattanto passati ai giudici dello Stato, Maggiore e furono decisivi Il Consiglio di
Guerra di Rennes si convinse che Dreyfus poteva, sì, non avere fatto il bordereau, ma che
molti altri elementi provavano che egli era pur sempre un pericoloso traditore. Del resto
i giudici erano militari e bisognava pur salvare la faccia allo Stato Maggiore. Si giunse
così ad una soluzione di compromesso. Il Consiglio di Guerra commutò la deportazione a
vita nella pena di 10 anni di detenzione, confermando la condanna alla degradazione. Per
farla finita col caso Dreyfus il presidente della Repubblica, concedette, bontà sua, la
grazia a Dreyfus che l'accettò. Fu promulgata infine, alla fine del 1900, una legge di
amnistia per tutti i reati connessi col caso Dreyfus
5.
Quarta fase: lassoluzione e la reintegrazione (1904-1906)
Nel
1904 la Camera Criminale accoglie il ricorso contro la sentenza di Rennes e ordina una
inchiesta supplementare. Sempre nel 1904 il presidente della Camera Criminale affida a
Darboux, segretario permanente dell'Accademia delle Scienze; ad Appel, decano della
facoltà di Scienze di Parigi, e a Poincaré, professore nella stessa facoltà, una
superperizia statistico-matematica in relazione alla teoria di Bertillon. Essi conclusero
che l'ipotesi del Bertillon si basava su riproduzioni artificiosamente ricostituite,
manipolate e quindi, sia pure involontariamente, alterate. Le misure furono trovate
erronee. Le coincidenze furono trovate approssimative e le pochissime esatte non superiori
a quelle possibili per qualsiasi scrittura in base al calcolo delle probabilità. Fu
rilevata anche la parzialità della selezione dei campioni a senso unico. Concluse il
collegio: Bertillon ha cercato ad ogni costo quello che voleva trovare e, naturalmente,
l'ha trovato. In sostanza Bertillon aveva fatto ragionamenti falsi su documenti falsi.
Dopo questa superperizia furono sentiti a chiarimenti molti dei periti precedenti. Ci fu
anche il colpo di scena: Charavay, uno dei periti del primo gruppo, quello del 1894,
dichiarò lealmente: mi sono sbagliato, il bordereau non è di Dreyfus ma di Esterhazy.
L'archivista Gribolin fu prezioso per scoprire le falsificazioni dei documenti operate dal
maggiore Henry. Bertillon fu invece irremovibile. Chiamato a chiarimenti ribadì, con
fanatica ostinazione, il suo convincimento che Dreyfus fosse l'autore del bordereau. Nel
1906 ci fu la sentenza di assoluzione. La Corte di Cassazione, in riforma della sentenza
del Consiglio di Guerra di Rennes del 1899, la annullò senza rinvio. Dreyfus fu
reintegrato nell'esercito e poi insignito della Legion d'onore. Il caso Dreyfus a questo
punto era veramente chiuso. Nel lontano 1930 furono pubblicate le memorie di Von
Scwartzkopten, l'addetto militare tedesco in Francia al tempo del caso Dreyfus, che
scagionavano completamente Dreyfus. Fu una ennesima e postuma conferma dell'innocenza di
Dreyfus.
6. Le cause dell'errore
A
questo punto si pone il problema: come fu possibile, che si arrivasse all'errore, tecnico
e quindi giudiziario e ad un errore così ciecamente e tenacemente sostenuto?
6.1.
Cause estragrafiche
Le
principali furono: pressioni dei giudici sui periti, malafede e persecuzioni dello Stato
Maggiore, pressione dell'opinione pubblica, suggestioni dei documenti "segreti"
e dei documenti falsi, difesa legale non abile e non combattiva. Sono tutte cause che
tuttora possono verificarsi.
6.2.
Cause grafiche
Premessa.
Esaminando l'originale, il caso del bordereau si presentava, tecnicamente, come assai
semplice, perché: 1) il documento era abbastanza lungo da consentire un parere di
certezza; 2) lo scritto era tracciato con spontaneità; 3) il confronto con la grafia di
Dreyfus mostrava che esso non era di Dreyfus; 4) il confronto con la grafia di Esterhazy,
quando questa fu conosciuta, dimostra all'evidenza che egli era l'autore del bordereau. Si
dirà che la grafia di Esterhazy fu conosciuta dopo il primo processo (Parigi). È vero,
ma era conosciuta al secondo processo (Rennes) e, ciò nonostante, fino all'ultimo momento
- e oltre - vi fu chi, come Bertillon, sostenne che il bordereau era di Dreyfus e non di
Esterhazy.
Causa
1) Una prima causa fu la scelta dei periti. Il considerato più autorevole, cioè
Bertillon, era alla sua prima perizia. Un altro perito Charavay, era solo un commerciante
di autografi. Un altro perito, Teyssonnieres, era solo un incisore. Tre su cinque non
erano qualificati. Questa piaga della selezione maldestra dei periti, dura tuttora.
2)
Seconda causa: l'esame fu condotto su una fotocopia. La riproduzione fotografica che fu
utilizzata dagli esperti, riproduceva recto e verso su un'unica facciata, la trasparenza
della carta non veniva evidenziata né si vedevano le tracce dei frammenti ricomposti. Si
può quindi spiegare in qualche misura che alcuni periti lo sospettassero di essere
artefatto.
3)
Altra causa fu il mito della scrittura artificiosa e l'idolatria della
"ispezione". L'ispezione è l'esame dei caratteri intrinseci del documento in
verifica, indipendentemente dal confronto con gli scritti di comparazione. Essa si basa
su: eccesso di variabilità, eccesso di uniformità, eccesso di identità, etc., senza, si
noti, verificare se tali presunti "eccessi" siano eccessi, visto che non c'è
disciplina che lo insegni, e soprattutto senza verificare se tali presunti eccessi ci
siano negli scritti di comparazione, nel qual caso lo scritto in verifica non è
artificioso. Bertillon era così polarizzato sull'ispezione del bordereau e così distolto
dal confronto, nel quale tuttavia è la vera essenza di una perizia, che quando gli fu
portata la scrittura di Esterhazy, rifiutò di guardarla. Ho scritto in proposito un
articolo: "Il mito della scrittura artificiosa", ma ho predicato al vento.
Quanto poi all'ipotesi della dissimulazione operata a mezzo dell'autofalsificazione da
parte di Dreyfus essa è assurda e infantile. Se voleva dissimularsi, Dreyfus non lo
avrebbe fatto così poco e così male.
4)
Sotto il profilo soggettivo, altra causa fu l'ostinazione fanatica del Bertillon. Il vero
responsabile della condanna fu lui. Senza la sua perizia la politica e il razzismo non
avrebbero avuto appigli per poter fare il male che fecero. In realtà Bertillon volle fare
più di quanto potesse fare e di quanto era preparato a fare. Fu vittima dei suoi smodati
sogni di gloria. Volle combinare grafologia e matematica senza conoscere né l'una né
l'altra e fece i disastri di un apprendista stregone. Bertillon era un caratteraccio,
presuntuoso, vanitoso, ambizioso. Si racconta, ed è probabile che sia vero, che quando,
segnato ormai da malattia mortale, il ministro di Giustizia gli fece sapere che era pronto
a conferirgli quella Legion d'onore a cui Bertillon aveva aspirato per tutta la vita, a
condizione però che ritrattasse le sue affermazioni sul caso Dreyfus, la risposta fu un
inferocito "no". Detto questo, tutto si spiega.
5)
Altra causa: lo stato della disciplina di allora, che è poi, sostanzialmente, anche lo
stato attuale. E qui si pone una logica domanda: se è vero, com'è vero, che la
grafologia generale ha dato un contributo eccezionale agli studi grafici e quindi anche
alle perizie, come mai non sono diminuiti gli errori dei periti grafici? La risposta è
complessa e richiede un'analisi che costituirebbe da sola una monografia. In questa sede
si può solo dire che contra factum non valet argumentum. Gli errori persistono, sono
frequenti e gravi e sono dovuti ai periti di qualsiasi scuola. Questo è un dato di fatto
che dimostra come, dal punto di vista del rischio di errore, la grafistica giudiziaria è
tuttora una disciplina ipoevoluta.
Lezioni deducibili
Vediamo
quali lezioni trarre dal caso Dreyfus.
1)
Lezioni per la difesa. I familiari e gli amici dei detenuti fanno talvolta
più e meglio di certi avvocati. Vedi il fratello di Dreyfus e il giornalista Lazare.
Quindi, non adagiarsi ciecamente sugli avvocati.
2)
La migliore prova
dell'innocenza di un imputato è la prova della colpevolezza di un'altra persona. Se non
ci fosse stata la grafia di Esterhazy, molti ancora si chiederebbero se veramente Dreyfus
non sia l'autore del bordereau.
3)
Una perizia lunga convince più
di una breve, anche se la breve è fondata e l'altra no. Il macchinoso ed analitico
apparato della perizia Bertillon impressionò; la brevità del Gobert rese diffidenti.
4)
Le perizie di parte non bastano
mai da sole a convincere i giudici. Dodici periti, fra i migliori del mondo, non
bastarono. Ci vollero due collegi peritali di ufficio perché la Corte di Cassazione
sentenziasse a favore di Dreyfus.
5)
Il parere preconcetto del
giudice, se manifestato in precedenza al perito, ha una nefasta influenza per due motivi:
a) il primo è il naturale rispetto del perito verso il convincimento di chi conosce
l'intero processo e ha tutti gli elementi per giudicare; b) il secondo è meno nobile ma
altrettanto pericoloso: se vado in contrario avviso, dissentendo dal giudice, che ne sarà
di me e dei miei eventuali futuri incarichi?
6)
L'istruttoria grafica è di
vitale importanza, mentre di regola viene trascurata. Se avessero sottoposto a Bertillon
l'intero ventaglio degli scritti delle persone sospettabili, anziché dargli lo scritto di
una sola persona, l'esame della grafia di Esterhazy avrebbe probabilmente risolto subito
il caso.
7)
Altra lezione: lo scritto in
verifica deve essere esaminato in originale e non su fotografie. Tale acquisizione,
fortunatamente, è ormai pacifica e di regola, ora, le perizie si fanno sugli originali.
8)
La cosiddetta
"ispezione" interna non deve sostituire la perizia, cioè il confronto.
Purtroppo ancora oggi, è spesso la ispezione che decide tutto. Il resto, cioè il
cosiddetto confronto, è finzione.
9)
I caratteri generali sono
condizione necessaria, ma non sufficiente per l'identità. I caratteri generali tra la
grafia di Dreyfus e quella del bordereau erano in gran parte uguali; eppure la grafia era
diversa.
10) Occorre cautela da parte dei giudici nella
valutazione delle perizie grafiche. Se la perizia conclude per la falsità, accettarla e
basarvi la sentenza solo se il perito è di sicura e verificata affidabilità, e se il
perito aveva a disposizione scritti di comparazione idonei e sufficienti. La cautela del
giudice deve essere ancora maggiore quando si tratti d parere di autenticità. La
cosiddetta "autenticità certa" è solo l'assenza di segni di falsità. Ma
l'assenza di segni negativi è troppo poco per un parere positivo. In realtà la falsità
può essere certa, ma l'autenticità non è mai certa (principio dell'Ottolenghi, troppo
poco conosciuto ed applicato).
11) Vi è poi una lezione di etica per i periti: il
perito deve avere umiltà e quindi disponibilità a ritrattare, ad ammettere i propri
errori. Dopo tutto, errare è umano.
12) Vi è poi una lezione organizzativa ed è la
necessità di una severa selezione dei periti. Quindi, fra l'altro, eliminazione
dell'autodidattismo (Bertillon era un autodidatta) che determina minor poter autocritico
maggiore presunzione, maggiore necessità di apparire sicuri, e quindi maggiore impulso a
giudizi categorici e senza appello.
13) In fine, c'è una lezione a sorpresa, cioè una
lezione di ottimismo. La Verità è un galantuomo cronicamente ritardatario, lentissimo,
che qualche volta non arriva e che arriva quasi sempre in forte, scandaloso ritardo. E
tuttavia, alla fine, generalmente arriva. E allora si fa luce. Il caso Dreyfus, alla fine,
fu risolto.
Conclusione
L'affare Dreyfus
non è morto. Esso vive tuttora e vivrà ancora a lungo nei quotidiani errori ed orrori
della perizia grafica, così come essa è ora, oggettivamente e soggettivamente,
strutturata, eterna parente povera di una giustizia che ne deplora platonicamente i
difetti, ma non muove un dito per eliminarli.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Avvertenza. Si tratta solo di un saggio,
mirato all'aspetto grafico della questione. Va segnalato che le opere fondamentali, sotto
questo profilo, sono quelle del Lazare, del Locard e del Crépieux-Jamin. Naturalmente
accenni al caso sono presenti in numerosi trattati di criminalistica documentale e di
grafologia.
B. Lazare,
L'affaire Dreyfus. Stock, Paris 1897 (Fondamentale).
E. Zola,
L'affaire Dreyfus. La vérité en marche. Chronologie et prefare par Colette
Becker, Garnier-Flammarion. (Contiene
anche una bibliografia di opere generali sull'affare).
E. Zola,
L'affaire Dreyfus. La vérité en marche. Fasquelle, Paris 1962
Dreyfus case in "The Jewish
Encyciopedia" pp. 660-688, New York and London. Funk and Wagnalis (Con
bibliografia).
M. Coulon, Questions juridiques.
L'affaire Dreyfus in "La Graphologie scientifique",1931 n. 48.
L. Legrain, Encore le Bordereau! in
"La Graphologie scientifiquc'', I c) 3 I n 4X.
J.
Crépieux-Jamin, Libres propos sur l'expertise en écritures e les le~ons de l'Affaire
Dreyfus. 3 ed., Felix Alcan, Paris, 1935.
B. Revel,
L'affare Dreyfus. Mondadori, Milano 1936. (È forse il miglior testo italiano per
l'inquadramento generale del caso).
E. Locard, L'affaire Dreyfus et
l'expertise des documents écrits, "Revue Internationale de
Criminalistique", 1937, p. 80. (Riprodotto,
ma senza le illustrazioni, in "La Giustizia Penale". Vol. XLIV = 1938, Parte 1,
pp. 159-192).
E. Locard,
Les faux en écriture et lcur expertise, Payot, Paris 1959 p. 391. (Interessano
I'affaire Dreyfus le pp. 119-134. Può considerarsi una sintesi della monografia
pubblicata sulla Revue).
F. Ferraro, Le patologiche
perizie grafiche dell "'Affare Dreyfus", in "Rassegna dell'Arma dei
Carabinieri", 1971/2, pp. 32.
N. Halasz, II capitano
Dreyfus, Club degli editori, Milano 1974. (Non è specifico, ma è pregevole per
l'inquadramento generale del caso e del resto dà ampio spazio all'aspetto grafico).
C. Villard,
Possibilités récentes d'approche scientifique dans 1'expertise en écriture, in "La
Graphologie" 1976/1 n. ]41. (È un confronto fra le grafie di Dreyfus,
Esterhazy e il Bordereau, eseguito a mezzo del calcolatore ottico).
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